La mia pandemia: perché ho fatto sch*fo e perché è stato giusto così

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Ricordo come fosse ieri il giorno in cui scoppiai a piangere disperatamente scoprendo che, di fatto, avremmo dovuto restare chiusi in casa per un bel po’. Avevo appena ricevuto un’allettante proposta lavorativa, avevo da poco incontrato nuovi colleghi coi quali certamente avrei avuto il desiderio di collaborare e, soprattutto, avevo appena trovato un bel bilocale a Ibiza dove già stavo programmando di trasferirmi per un mesetto intero. Insomma, io come voi mi aspettavo una primavera certo diversa da quella alla quale, invece, siamo stati costretti nelle ultime settimane.

Ieri sera, poi, ho commesso l’errore di dedicarmi persino alle operazioni. Dopo qualche calcolo semplice, ho constatato – con molto rammarico e con un nodo alla gola che se ci ripenso mi fa ancora male – che non esco di casa da 63, ormai 64 giorni. Sì, perché a metà febbraio mi sono ammalata, e per circa due settimane mi sono sentita uno straccio. Febbre quasi inesistente ma gola gonfia, e poi la diagnosi: tonsillite. Non riuscivo a parlare e a mangiare ma soltanto a deglutire (liquidi ovviamente, perché mi si era gonfiato il viso a tal punto da non riuscir nemmeno a masticare). Quindi, di fatto, è dal 16 febbraio che non esco di casa e che la mia vita si è fermata, arrestata, intristita completamente. Da quel giorno ho smesso di credere e di sognare.

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“Il motivo per cui gli uccelli, a differenza degli esseri umani, sono in grado di volare risiede nella loro fede incrollabile. Perché avere fede e credere in quel che fai vuol dire avere le ali” – Peter Pan, J. M Barrie

Ad ogni modo, dicevo, ricordo come fosse ieri il giorno in cui scoppiai a piangere disperatamente, rendendomi conto all’improvviso che le cose stessero cambiando davvero. Quando per la prima volta capii che saremmo dovuti rimanere in casa, a fare i conti con la noia – “un’amica che troppo spesso temiamo di affrontare” come l’ha definita un ragazzo che ho intervistato qualche giorno fa – e con l’incertezza di ciò che sarebbe arrivato, mi sono spaventata. Io abituata ad una vita totalmente priva di stabilità, all’idea di non sapere cosa sarebbe avvenuto di lì al giorno dopo, e poi al giorno dopo ancora, mi sono spaventata. Incredibile, vero?

Anche io che ho sempre il sorriso sulle labbra, la Claudia che tutti considerano una persona estremamente forte e famosa per la sua solarità, mi sono incupita a tal punto da non riuscire più a ragionare, lucidamente, per un po’. La mia quarantena, ad oggi, è stata caratterizzata da molti alti e bassi. Ho visto sparire da un giorno all’altro molti conoscenti, molti genitori di miei cari amici e anche qualche amico, e ho vissuto fino a ieri il terrore che la temibile sorte sarebbe poi toccata anche ai miei nonni, oppure a mia mamma e a mio papà.

Ho trascorso diverse settimane senza riuscire a smetterla di pensare, e senza riuscire a riposare. Non riuscivo proprio a chiudere occhio, così ho perso il controllo; io maniacale di ordine e organizzazione, mi sono lasciata andare. Se ho intrapreso l’avventura di questa quarantena ripromettendomi soprattutto di allenarmi con costanza ogni giorno e di imparare una lingua nuova (il tedesco, per la precisione), a distanza di due mesi dall’inizio di questa folle reclusione posso dire di aver fatto proprio schifo.

Ho smesso di allenarmi tutti i giorni da un po’ (ora mi alleno una volta alla settimana, ma negli ultimi giorni non ho fatto nemmeno quello), e non ho più aperto il libro di tedesco da almeno tre settimane. Da sette giorni a questa parte, poi, fingo di star bene quando in realtà la finzione ha stancato anche me, perché mentire a te stessa ti logora dopo qualche tempo, e ti mette di fronte alla verità; non puoi superare un momento di crisi se non accetti la tua debolezza tu per primo. Di conseguenza, ho perso per strada quella che alcuni definiscono disciplina, e ancora mi vergogno ad ammetterlo visto che tra i miei più grandi difetti rientra sicuramente quello di non mostrare mai, mai a nessuno, le mie difficoltà. Ieri notte, però, ho riflettuto su un fatto. Ho pensato e ripensato a come io abbia vissuto le ultime settimane, e sono giunta alla conclusione che dopotutto siano state giuste anche così.

Se posso continuare a dire di credere fermamente nella legge universale per cui tutto accade per un motivo, posso anche ammettere che, nonostante fino a ieri ben poco mi fosse chiaro, al momento invece io stia iniziando a interpretare il mio malessere come qualcosa di essenziale e di fortemente legato alla felicità. Questa mattina, ad esempio, mi sono svegliata prestissimo come sempre ma poi ho continuato a dormire. “Chi me lo fa fare di alzarmi alle 6 del mattino anche oggi?” mi sono chiesta. Così, mi sono riavvolta tra le coperte e, non riuscendo a riprendere sonno, ho però ricominciato a pensare. E conseguentemente, ho compreso che non esista sfida facile da vincere, né gioia raggiunta senza difficoltà.

Lentamente, sono uscita dal letto e ho spalancato le finestre, poi ho respirato a pieni polmoni. Ho constatato che questa mattina facesse freddo, perché qui sta ancora piovendo da ieri sera, e mi sono anche accorta che l’odore e il suono della pioggia mi abbiano stranamente messa di buon umore. In ultimo, mi sono resa conto che non domani, non “la settimana prossima” ma oggi, questa mattina come cinque minuti fa come ora, e ogni singolo istante che verrà, fossero il giusto momento per ricominciare.

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“I began to realize how important it was to be an enthusiast in life. He taught me that if you are interested in something, no matter what it is, go at it at full speed ahead. Embrace it with both arms, hug it, love it and above all become passionate about it” – Matilda, Roald Dahl

Certo, credevo le stesse cose a inizio quarantena, quando avevo stilato la lista di “Cose utili da fare in casa“come se fosse realmente pensabile che una persona obbligata a rimanere tra quattro mura per molte settimane, ricevendo solo notizie di morte dai telegiornali, possa seriamente vivere le sue giornate in totale serenità. Eppure ne ero convinta, mi ero detta che ‘Se vuoi puoi, anche a casa’. Invece, come sempre, nulla va come preventivato, e anche stavolta sono stata sorpresa. Mi sono riscoperta più fragile di quanto credessi, e ancor più emotiva di quanto pensassi.

Tuttavia, credo sinceramente che dopo ieri sera, dopo il mio sfogo social e la mia notte in lacrime, qualcosa sia cambiato. Oggi mi sento più leggera, e poi per il momento conservo in me molta voglia di fare. Forse perché finalmente ho affrontato la negatività che da tempo cercavo di allontanare, forse perché alla fine sfogarsi fa bene e piangere è salutare.

Un’altra cosa che ho imparato, e che posso dire di voler tener a bada d’ora in poi, è il saper rallentare. Sono sempre stata una pazza scatenata, una vogliosa di vivere una vita spericolata – a cento all’ora o niente. Eppure la quarantena mi ha obbligata a rallentare, a fermarmi in un posto e a ricominciare. Fino ad oggi questa cosa non l’ho accettata. Impegnavo le mie giornate tra yoga, cucina, libri, lavoro, lavoro, lavoro, allenamenti, studio e ancora lavoro affinché non mi rimanesse più nemmeno un secondo per pensare. Ho vissuto tutta la quarantena cercando per forza di cose di essere comunque produttiva, di fingere che fosse ancora tutto normale, finché non sono esplosa e non ho capito, non ho accettato volente o nolente per la verità, che stesse andando tutto male. Quindi, dicevo, da ieri sera più che mai ho compreso l’importanza del rallentare.

Oggi sto bene, sono serena nonostante tutto, ma non dubito che le difficoltà torneranno presto a bussare alla mia porta – e che il mio umore tornerà ad incupirsi di tanto in tanto. Quel che non farò, invece, è il ricominciare a vivere al massimo come ieri, come l’altro ieri, come il giorno prima ancora. Oggi, ad esempio, sto rispettando me stessa più del solito perché non mi sto obbligando a fare, ma piuttosto a respirare.

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“C’è qualcosa che devi sempre ricordare. Tu sei più coraggioso di quanto credi, più intelligente di quanto pensi e più forte di quanto sembri” – Winnie The Pooh

Non so cosa volessi dirvi davvero, con questa lunga pagina di diario che presto mi appropinquerò a pubblicare. Mi auguro, tuttavia, che il significato l’abbiate rintracciato voi stessi e che, nel caso, questo vi abbia potuto aiutare.

Sono consapevole di non aver dato il meglio di me in questo ultimo periodo, di essere stata ineccepibile lavorativamente parlando ma di essermi scoraggiata più del dovuto in alcuni momenti. Però forse è proprio questo il messaggio che a me stessa, ancor prima che a tutti voi, oggi vorrei mandare. Che tutto accade per una ragione, che tra qualche settimana rileggerò questa pagina di diario ridendo di me stessa e di quanto io stessi enfatizzando ogni singola emozione e, soprattutto, che la vita sia fatta di alti e bassi esattamente come alte e basse sono le onde del mare. 

Non nascondete a voi stessi le vostre fragilità. Piangete se vi sentite di farlo, sfogatevi se lo ritenete opportuno, e poi credetemi: tutto passerà. Dopo svariate notti insonni arriverà anche per voi il momento di ricominciare, come io mi auguro di fare a partire da oggi, e per le prossime settimane.

La scrittura è sempre stata la mia ancora di salvezza, e per questo ho deciso di aggrapparmici oggi per non affogare. Ora mi sento ancor più leggera di prima, quasi pronta per ricominciare a sognare.

6 risposte a “La mia pandemia: perché ho fatto sch*fo e perché è stato giusto così

  1. Riuscire a mettere su carta (in questo caso virtuale) le proprie emozioni fa sempre sentire meglio. Il tuo è uno sfogo a cuore aperto, sincero e umano. Ognuno di noi ha vissuto la quarantena in modo diverso a seconda della propria situazione, del proprio carattere e magari si è scoperto più fragile o più forte di ciò che credeva. Per me la casa è stata una comfort zone, un guscio che mi ha protetta e che mi ha consentito finalmente di rallentare il ritmo. Ho dedicato tempo a me stessa (quando mai la sera avevo energie per allenarmi o voglia di fare una maschera al viso), letto, guardato film e serie TV…Mi sono coccolata. Mi mancheranno queste piccole attenzioni quando tornerò a correre, ma l’importante è che presto possiamo tutti tornare a vivere serenamente. Un abbraccio.

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  2. L’inizio della quarantena, dopo aver metabolizzato la cattiva notizia è stato un po’ come l’inizio di ogni nuovo anno. Anche io sono partita con i migliori buoni propositi, poi ho preso altri tre chili, invece di perdere quelli già accumulati prima, come mi ero ripromessa, non ho letto nulla, stavo studiando per un concorso e ho mollato, insomma, ho fatto schifo anche io. Però ti dico una cosa, dobbiamo sentirci in colpa fino a un certo punto, perché oggettivamente siamo sottoposti a uno stress non indifferente e questo, inevitabilmente, si ripercuote anche sulla buona volontà. Tiriamo un bel respiro, che forse fra poco, piano piano, potremo ripartire.

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  3. Un viaggio nel profondo io prevede una discesa. Scendi e scopri tutte le debolezze e le insicurezze. Ma quando le hai accettate ed esplorate cominci a risalire verso la superficie, verso la parte che ha bisogno di respirare aria fresca e nuova. E’ un nuovo inizio, anche senza fine. E’ stata solo una sosta. Presto si ripartirà e dobbiamo essere pronte. Anche con il tedesco.

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  4. Credo che ognuno abbia reagito a questo periodo così strano e destabilizzante nel modo più “giusto” secondo i propri bisogni e insicurezze del momento. Magari chi l’ha vissuta in modo iperattivo, in realtà l’ha solo fatto inconsapevolmente per riempirsi la testa e non mettersi di fronte alle proprie paure. Non hai nulla da rimproverarti! Ti abbraccio 🙂

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