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Vini Armeni: il libro che racconta la rinascita del vino in Armenia tra storia, terroir e cultura millenaria

Un racconto che non si limita a parlare di vino ma che decide di eleggerlo a chiave per decifrare la storia e l’identità di un intero Paese. Questo, e molto altro ancora, è Vini Armeni – La cultura del vino ha radici antichissime, il nuovo libro firmato da Manuela Da Cortà ed Enrico Dal Bianco e pubblicato da Kellermann Editore. Un’opera che invita a riscoprire l’Armenia non come periferia dell’enologia ma come una delle sue origini più autentiche e sorprendenti.

Con una prefazione di Antonia Arslan e un’introduzione dello storico Aldo Ferrari, il volume si colloca a metà strada tra il saggio e il racconto di viaggio. È un libro per chi cerca nel vino non solo il piacere sensoriale ma soprattutto la profondità culturale di un gesto ancestrale, una memoria che attraversa millenni di civiltà. Le sue pagine ci conducono nel cuore del Caucaso, dove le montagne si aprono su vallate vulcaniche e canyon scavati dal vento e dove 6100 anni fa nacque la più antica vinificazione della storia umana.

Il rinascimento del vino armeno

Negli ultimi quindici anni la viticoltura armena ha conosciuto una trasformazione radicale. Da una produzione quasi domestica, eredità di epoche sovietiche e di economie di sopravvivenza, il Paese è passato a un modello moderno e competitivo. Oggi si contano oltre 170 cantine attive, la produzione supera i 13 milioni di litri e le esportazioni, raddoppiate nell’ultimo decennio, toccano i 4,2 milioni di litri.

Eppure, dietro le cifre si cela qualcosa di più profondo: un ritorno alla terra come gesto identitario, un modo di riconciliarsi con la propria storia. “Il vino armeno non è un prodotto agricolo ma un forte simbolo culturale” scrive Dal Bianco, e questo in effetti lo si intuisce benissimo anche in ogni dettaglio del libro, dai racconti dei produttori ai paesaggi aspri e luminosi, oltre che dalla tenacia con cui le comunità locali hanno custodito vitigni antichissimi sopravvissuti all’oblio.

Un atlante di terroir e memorie

Le regioni vinicole dell’Armenia Vayots Dzor, Aragatsotn, la Valle dell’Ararat, Tavush e Syunik si stendono come un mosaico variegato di altitudini, microclimi e suoli vulcanici. I vigneti si arrampicano fino a 1800 metri e respirano un’aria di purezza quasi ascetica, che si riflette nella tensione minerale dei vini. Protagonisti assoluti sono i vitigni autoctoni, veri monumenti viventi.

Tra questi il Sev Areni, elegante e persistente, emblema della rinascita armena – poi il Voskehat, anche conosciuto come la “bacca d’oro”, che dà vita a bianchi complessi e longevi, tra miele e agrumi. Da citare anche il Haghtanak, dal nome evocativo (che in armeno significa Vittoria), rosso profondo e speziato, poi il Kangun, versatile e fragrante, usato anche per spumanti e brandy – e il misterioso Khndoghni, originario del sud, che incarna la forza e la spiritualità dei terroir di Syunik.

Ogni vitigno, nel racconto degli autori, diventa così una metafora di sopravvivenza culturale. Il vino armeno — spiega la direttrice della Vine and Wine Foundation, Zaruhi Muradyan — è oggi “un ambasciatore della nostra storia e della nostra ospitalità”.

Dal mito alla contemporaneità

Vini Armeni attraversa i secoli come un diario di viaggio. Si parte dal Neolitico per poi risalire verso i monasteri medievali, dove i monaci affinavano l’arte della fermentazione, e si conclude con il racconto vivissimo delle moderne cantine disegnate da giovani architetti che coniugano tecnologia e paesaggio.

Non mancano le suggestioni culturali, come la simbologia del vino nei canti liturgici armeni, la sua presenza nell’arte e nella poesia ed infine il legame con la mitologia di Noè, che secondo la tradizione piantò la prima vite proprio alle pendici del monte Ararat.

Italia e Armenia, un legame di affinità culturale

Che il libro esca in Italia non è casuale. Il nostro Paese, patria di vitigni e terroir, riconosce nell’Armenia una sorella antica, custode della stessa sensibilità verso la terra e la bellezza. “L’Armenia parla al cuore dell’Italia — scrive Antonia Arslan — perché condivide con noi la consapevolezza che il vino è cultura, arte e spiritualità insieme”.

Ricco di fotografie, mappe e approfondimenti, il volume di Kellermann Editore è anche un oggetto di bellezza. Le sue pagine restituiscono la luce dei paesaggi armeni e la densità dei loro silenzi. È un testo che unisce rigore accademico e sensibilità letteraria, in cui la precisione delle note enologiche convive con la poesia del racconto.

Vini Armeni si legge allora così come si degusta un vino: lentamente. Abbandonandosi alle sensazioni e lasciando che le sfumature emergano una dopo l’altra. Un viaggio che sì, comincia in una coppa di vino, ma termina, inevitabilmente, dentro la storia dell’uomo.


Scopri di più da Claudia Cabrini - Giornalista di Viaggi e Spettacolo

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