Il Festival di Sanremo 2026 si prepara a illuminare l’Ariston con trenta artisti che incarnano la varietà della musica italiana contemporanea. Tra veterani e giovani emergenti, pop e rap, cantautorato e soul, ciascun Big porta a Sanremo un percorso unico, esperienze e collaborazioni importanti, definendo uno spaccato della cultura musicale italiana.
Ecco l’identikit approfondito di ciascun protagonista, con biografia, carriera, stile musicale ed esperienze passate, per comprendere a fondo l’identità artistica di ognuno di loro. E in aggiunta, il titolo del brano che ogni Big canterà sul palco dell’Ariston in occasione del Festival di Sanremo.
- TOMMASO PARADISO con il brano in gara I ROMANTICI
- CHIELLO con il brano in gara TI PENSO SEMPRE
- SERENA BRANCALE con il brano in gara QUI CON ME
- FULMINACCI con il brano in gara STUPIDA FORTUNA
- DITONELLAPIAGA con il brano in gara CHE FASTIDIO!
- FEDEZ & MASINI con il brano in gara MALE NECESSARIO
- LEO GASSMANN con il brano in gara NATURALE
- SAYF con il brano in gara TU MI PIACI TANTO
- ARISA con il brano in gara MAGICA FAVOLA
- TREDICI PIETRO con il brano in gara UOMO CHE CADE
- SAL DA VINCI con il brano in gara PER SEMPRE SI
- SAMURAI JAY con il brano in gara OSSESSIONE
- MALIKA AYANE con il brano in gara ANIMALI NOTTURNI
- LUCHE con il brano in gara LABIRINTO
- RAF con il brano in gara ORA E PER SEMPRE
- BAMBOLE DI PEZZA con il brano in gara RESTA CON ME
- ERMAL META con il brano in gara STELLA STELLINA
- NAYT con il brano in gara PRIMA CHE
- ELETTRA LAMBORGHINI con il brano in gara VOILA
- MICHELE BRAVI con il brano in gara PRIMA O POI
- J-AX con il brano in gara ITALIA STARTER PACK
- ENRICO NIGIOTTI con il brano in gara OGNI VOLTA CHE NON SO VOLARE
- MARIA ANTONIETTA & COLOMBRE con il brano in gara LA FELICITA E BASTA
- FRANCESCO RENGA con il brano in gara IL MEGLIO DI ME
- MARA SATTEI con il brano in gara LE COSE CHE NON SAI DI ME
- LDA & AKA 7EVEN con il brano in gara POESIE CLANDESTINE
- DARGEN D’AMICO con il brano in gara AI AI
- LEVANTE con il brano in gara SEI TU
- EDDIE BROCK con il brano in gara AVVOLTOI
- PATTY PRAVO con il brano in gara OPERA
Tommaso Paradiso, tra pop poetico e introspezione urbana
Tommaso Paradiso nasce a Roma il 25 giugno 1983 e cresce respirando la cultura urbana e pop della capitale. Nel 2009 fonda Thegiornalisti, con cui pubblica album simbolo della nuova ondata pop italiana come Vol.1, Fuoricampo, Love e il celebre Riccione.
Successivamente intraprende la carriera solista pubblicando Space Cowboy e Sensazione Stupenda, dove la sua cifra poetica si spinge verso sonorità più mature. Dal punto di vista tecnico, Paradiso utilizza progressioni armoniche semplici ma efficaci, anche grazie ad una vocalità calda e modulata capace di passare da momenti intimi a ritornelli esplosivi.
L’eccessiva nostalgia musicale può tuttavia limitare la sua innovazione armonica. La sua continua sfida, a tutti gli effetti, è mantenere freschezza dei primi testi senza tradire la propria cifra emotiva. Certo Tommaso Paradiso ha dimostrato capacità di scrittura anche per altri artisti. Così facendo ha inoltre mostrando un orecchio attento per le melodie radiofoniche e hook vincenti, pur correndo sempre il rischio di restare intrappolato in schemi già consolidati. Anche per questo sul palco dell’Ariston mi aspetto di trovare un Paradiso coraggioso e diverso, capace di confermare la propria unicità pur dialogando con un pubblico decisamente trasversale.
Chiello: poesia urbana tra rap e vulnerabilità melodica
Chiello, all’anagrafe Rocco Modello, nasce a Venosa, in provincia di Potenza, il 9 aprile 1999 e sin da giovane coltiva una passione profonda per la musica, nutrendosi di rap ma anche di rock, cantautorato e vibrazioni emotive intense. Cresce artisticamente nella scena italiana come membro fondatore del collettivo FSK Satellite insieme a Taxi B e Sapobully, formazione trap che tra il 2017 e il 2019 conquista certificazioni di rilievo e un seguito fedele grazie all’attitudine cruda e alle produzioni energiche.
Dopo lo scioglimento del gruppo, Chiello intraprende la carriera solista e nel 2021 pubblica il suo primo album Oceano Paradiso, lavoro che unisce trap, pop e sfumature emo con testi malinconici e melodie sospese, certificato oro in breve tempo e anticipato dal singolo Quanto ti vorrei, che ottiene certificazione platino. Nel 2023 arriva Mela Marcia, seguito nel 2025 dal terzo progetto Scarabocchi, album introspettivo dove Chiello esplora sentimenti e riflessioni esistenziali con linguaggio diretto e immagini evocative.
Dal punto di vista tecnico, Chiello fonde la sua matrice trap con melodie pop e linee vocali che privilegiano emotività e introspezione, spesso utilizzando phraseggi sospesi e timbri caldi per veicolare testi che parlano di identità, amore, fallimento e crescita personale. Questo equilibrio tra la durezza ritmica del rap e la sensibilità melodica lo ha reso una figura significativa per la generazione Z e un ponte tra scene diverse della musica italiana contemporanea.
Se di Chiello possiamo certamente riconoscere la capacità di innovare un linguaggio urbano italiano mescolando stili e texture, possiamo altresì premiare una ricerca proiettata all’equilibrio tra trap, pop e cantautorato, a tratti affascinante.
Anche sul palco dell’Ariston la sua sfida, a mio parere, rimarrà una: affinare una direzione sonora coerente e personale che vada oltre le contaminazioni, pur mantenendo l’onestà emotiva che da sempre caratterizza il suo lavoro.
Serena Brancale: polistrumentista tra jazz, soul e pop
Serena Brancale nasce a Bari il 4 maggio 1989, in una famiglia profondamente legata alla musica: sua madre era insegnante di musica e suo padre ex calciatore, mentre la sorella Nicole è anch’essa musicista e l’ha accompagnata in vari momenti delle sue esibizioni. Sin da piccola studia violino e pianoforte, coltivando parallelamente anche teatro e danza prima di diplomarsi in canto jazz presso il Conservatorio Piccinni di Bari, formazione che getterà le basi per la sua versatilità sonora.
La sua carriera prende piede nei primi anni 2010. Nel 2011 fonda il Serena Branquartet, band con cui si esibisce dal vivo esplorando soluzioni tra jazz, soul e nu‑soul. Nel 2015 partecipa alla sezione Nuove Proposte del Festival di Sanremo con il brano Galleggiare, tratto dall’omonimo album, che mostra sin da subito una voce ricca di personalità e un approccio interpretativo sofisticato.
Nel 2019 pubblica Vita da artista, album che miscela jazz, pop e contaminazioni groove con collaborazioni di rilievo, tra cui quella con Willie Peyote. Nel 2022 esce Je sò accussì, lavoro impreziosito da featuring con artisti come Ghemon e Margherita Vicario e che amplia il suo spettro sonoro tra funk, R&B e sperimentazioni vocali.
Dal 2023 in poi Serena Brancale conquista una popolarità più ampia grazie al singolo Baccalà — cantato in dialetto barese e prodotto con Dropkick_m — diventato virale sui social e in classifica per molte settimane, seguito da altri brani in dialetto come La zia e Stu cafè, che la collegano alle radici culturali pugliesi ma con una prospettiva contemporanea.
Nel 2025 ritorna sul palco dell’Ariston, questa volta tra i Big, con il brano Anema e core, che unisce influenze jazz‑funk, world e pop e rappresenta una delle prime volte in cui un dialetto, pur non essendo pienamente barese, si intreccia alla grande tradizione sanremese.
Dal punto di vista tecnico, Serena Brancale è una vocalista duttile e poliedrica. Padroneggia il fraseggio con grande controllo del respiro, sa modulare colori timbrici dal soul al jazz e affronta con competenza arrangiamenti che spaziano dal pop orchestrale alle esplorazioni elettroniche. La sua abilità nel passare tra stili e generi — dal jazz al funk al pop mainstream — è una risorsa potente nelle sue performance live.
Brancale rappresenta così non solo una figura tecnicamente solida ma anche un esempio di come la tradizione vocale italiana possa dialogare con nuove generazioni di ascoltatori, pur mantenendo radici culturali profonde e originali.
Fulminacci: ironia poetica e cantautorato contemporaneo
Fulminacci, all’anagrafe Filippo Uttinacci, nasce a Roma il 12 settembre 1997 ed è oggi uno dei cantautori più rappresentativi della scena pop‑indie d’autore italiana. Debutta nel 2019 con l’album La vita veramente (Maciste Dischi), lavoro che gli vale la Targa Tenco come miglior opera prima grazie alla scrittura raffinata, all’ironia e alla capacità di trasformare la quotidianità in immagini poetiche e cinematografiche.
Nel 2021 pubblica il suo secondo album Tante care cose, includendo brani di grande impatto come Santa Marinella, con cui si presenta per la prima volta al Festival di Sanremo nella categoria Campioni. Nel 2023 con l’album Infinito +1 Fulminacci amplia ulteriormente il proprio linguaggio, sperimentando sonorità più variegate pur mantenendo la cifra poetica e melodica che lo distingue.
Sul piano tecnico, Fulminacci unisce la leggerezza del pop contemporaneo a una vocalità espressiva e modulata, capace di passare con naturalezza da toni morbidi e sussurrati a passaggi più energici, senza mai perdere la precisione melodica. La sua costruzione armonica predilige progressioni semplici ma efficaci, accompagnate da arrangiamenti essenziali che lasciano spazio alla parola e alla narrazione.
Fulminacci è inoltre autore e collaboratore di innumerevoli artisti italiani, tra cui Daniele Silvestri, Gazzelle e Angelina Mango, dimostrando una sensibilità nel dialogare con diversi linguaggi musicali senza perdere la propria identità. Sul palco dell’Ariston la sua capacità di creare un ponte tra poesia e immediatezza melodica lo può rendere uno dei Big più interessanti e promettenti, capace di parlare a un pubblico giovane e adulto allo stesso tempo, con leggerezza, ironia e profondità emotiva.
Ditonellapiaga: alt-pop teatrale e voce camaleontica
All’anagrafe Margherita Carducci, Ditonellapiaga è di origine romana. Cantante alt-pop con forte componente scenica e teatrale, si fa soprattutto conoscere dal grande pubblico grazie a Chimica, brano in duetto con Donatella Rettore in corsa a Sanremo 2022. Tra i suoi più celebri singoli di particolare successo Morsi.
Il suo stile spazia dall’elettronica ai pattern ritmici complessi, con falsetti drammatici e modulazioni vocali estese. La sua teatralità rischia però di sovrastare la sua struttura melodica. Per lei la sfida è infatti riuscire a trovare equilibrio tra estetica visionaria e solidità musicale.
Certamente capace di interpretazioni spettacolari, Ditonellapiaga gareggia anche grazie a dinamiche vocali che spaziano dal parlato all’acuto melodico, impreziosendo il suo stile con modulazione intensa, controllo del timbro e grande sperimentazione ritmica.
Fedez & Marco Masini: crossover generazionale tra rap e cantautorato
Fedez, rapper urbano e figura di riferimento nel pop italiano contemporaneo, unisce ritmo serrato, punchline e vocalità diretta. Marco Masini, cantautore storico che ha fatto la storia della musica in Italia, apporta invece melodie raffinate e profondità lirica.
Ancora una volta la loro collaborazione sul palco dell’Ariston genera inevitabilmente scompiglio, dando origine ad un nuovo dialogo tra due generazioni. La sfida principale rimarrà certo quella di armonizzare stili diversi e a tratti opposti tra loro senza perdere però la propria coerenza artistica.
Leo Gassmann e l’introspezione giovanile
Leo Gassmann nasce a Roma il 22 novembre 1998, per amore dell’attore Alessandro Gassmann e della moglie, la cantante Sabrina Knaflitz. Anche grazie all’eredità artistica famigliare cresce in un ambiente fortemente permeato al teatro e alla musica. Nonostante il cognome importante che porta, sceglie un percorso personale e graduale, costruendo la propria identità musicale lontano dalle scorciatoie mediatiche. Dopo un primo approccio al mondo dello spettacolo come attore, è la musica a diventare il suo linguaggio principale, soprattutto attraverso il canto e la scrittura.
La svolta per Leo Gassmann arriva nel 2020, quando vince la categoria Nuove Proposte del Festival di Sanremo con il brano Vai bene così, una ballad pop elegante misurata che mette in luce una vocalità pulita, emotiva ma mai eccessiva. Nello stesso anno pubblica il suo album d’esordio Strike, lavoro che mescola pop internazionale, suggestioni indie e una scrittura sentimentale diretta, mostrando una forte attenzione alla melodia e alla struttura classica della canzone.
Negli anni successivi Leo Gassmann prosegue il suo percorso con singoli e progetti che confermano una linea coerente: un pop radiofonico curato, mai urlato, che punta sulla chiarezza del messaggio e su arrangiamenti lineari, spesso costruiti e ampliati da pianoforte, chitarra e una sezione ritmica discreta. Nel 2023 entra nel cast del Festival di Sanremo tra i Big con il brano in gara Terzo Cuore, ancora oggi annoverato tra i suoi successi più significativi. La sua voce, di timbro chiaro e giovanile, lavora soprattutto sulla pulizia dell’emissione, con un uso controllato delle dinamiche e una predilezione per la zona medio-alta del registro.
Per lui quella al Festival di Sanremo 2026 sarà la seconda partecipazione da Big, la terza invece in assoluto considerando il suo debutto del 2020 tra le Nuove Proposte.
Dal punto di vista tecnico, conosciamo Gassmann come un giovane artista dalla padronanza del fraseggio melodico importante, con una sensibilità interpretativa che privilegia l’intimità rispetto alla potenza. Anche per questo le sue canzoni seguono spesso strutture tradizionali, con strofe narrative e ritornelli aperti, pensati proprio per una fruizione immediata ma emotivamente riconoscibile.
Sayf, rap mediterraneo e contaminazioni world
Rapper genovese quest’anno al debutto in gara tra i Big del Festival di Sanremo 2026, Sayf unisce trap e influenze mediterranee, creando un linguaggio musicale originale.
Forse sconosciuto al panorama nazionalpopolare, riscuote però grande successo tra le fasce di ascoltatori più giovani, che conquista anche grazie alla sua vocalità modulata, a passaggi melodici e ritmo urbano.
Nel corso delle sue prime pubblicazioni — tra EP, singoli e collaborazioni — Sayf dimostra una spiccata attenzione alla parola e alla costruzione del racconto. I suoi testi affrontano spesso temi legati all’identità, alla fragilità emotiva, al senso di spaesamento generazionale e alla necessità di trovare un posto nel mondo, evitando pose machiste o eccessi performativi tipici di una certa trap più urlata.
Musicalmente, le sue produzioni oscillano tra beat urban minimali, aperture melodiche pop e contaminazioni elettroniche leggere, con arrangiamenti che lasciano spazio alla voce e al silenzio.
Arisa: virtuosismo vocale e intensità interpretativa
Dopo anni di attesa e innumerevoli tentativi di partecipazione, Arisa torna finalmente in gara al Festival di Sanremo 2026, presenza che mancava anche al grande pubblico che da sempre la acclama, la supporta, la segue con affetto e la riconosce indubbiamente come una delle voci più belle d’Italia.
Cantautrice di origine lucana, all’anagrafe Rosalba Pippa, nasce a Genova il 20 agosto 1982 ma cresce proprio a Pignola, in Basilicata, territorio che segnerà profondamente la sua sensibilità artistica e umana. Prima ancora della musica, nella sua vita c’è lo studio: si diploma al liceo classico e successivamente frequenta il DAMS, costruendo un rapporto con la parola che diventerà centrale nella sua scrittura e nel suo modo di interpretare.
Il suo esordio discografico avviene nel 2009, quando vince la categoria Nuove Proposte del Festival di Sanremo con Sincerità, brano che la impone immediatamente all’attenzione del grande pubblico grazie alla sua vocalità fuori dagli schemi, oltre che grazie ad un’immagine volutamente anti-divistica.
Nel corso degli anni Arisa costruisce una carriera stratificata e non lineare, alternando pop, canzone d’autore, soul e incursioni jazzistiche. Album come Malamoreno, Amami, Se vedo te e Ero romantica raccontano un’artista in continua trasformazione, capace di reinventarsi sia sul piano sonoro che su quello estetico.
La sua partecipazione a Sanremo si ripete più volte, culminando nella vittoria del Festival nel 2014 con Controvento, una delle ballate italiane più intense dell’ultimo decennio, che mette in luce una maturità interpretativa rara.
Parallelamente alla musica, Arisa ha sviluppato un percorso come attrice, doppiatrice e personaggio televisivo, partecipando a film, fiction e programmi di grande visibilità. Questo dialogo continuo tra musica e recitazione ha rafforzato la sua dimensione interpretativa, rendendola un’artista capace di abitare ogni canzone come fosse un personaggio, senza mai risultare artificiosa.
Tredici Pietro: rap melodico e pop urbano
Di origine bolognese, Tredici Pietro, all’anagrafe Pietro Morandi, è il figlio di Gianni Morandi.
Debutta discograficamente nel 2018 con l’EP Assurdo, seguito nel 2019 dal primo album Pietro, che mette subito in chiaro la sua volontà di raccontarsi senza filtri affrontando temi come l’identità, il peso delle aspettative, il rapporto con il successo e il bisogno di affrancarsi da un’immagine predefinita. La sua scrittura è diretta, spesso autobiografica, sostenuta da produzioni che oscillano tra rap melodico, pop urbano ed elettronica minimale.
Nel 2023 pubblica Non guardare giù, album che segna una maturazione evidente sia sul piano lirico che su quello sonoro. Qui Tredici Pietro lavora maggiormente sulla melodia, lasciando spazio a ritornelli più strutturati e a un uso della voce meno rigido, più cantato, pur mantenendo la matrice rap. Le produzioni diventano più curate, con arrangiamenti che privilegiano atmosfere intime, synth leggeri e beat meno aggressivi, capaci di sostenere la narrazione emotiva.
Sal Da Vinci, quando la tradizione diventa respiro contemporaneo
Sal Da Vinci, all’anagrafe Salvatore Michael Sorrentino, nasce a New York nel 1969, ma cresce artisticamente e umanamente a Napoli, città che diventa il centro simbolico e sonoro della sua identità musicale. Figlio del celebre Mario Da Vinci, attore e cantante della tradizione napoletana, entra in contatto con il palcoscenico sin da bambino, respirando teatro, musica e narrazione come un fatto naturale e quotidiano. La sua formazione non è solo musicale ma profondamente performativa: canto, recitazione e presenza scenica crescono insieme, rendendolo fin dagli esordi un interprete completo.
Nel corso della sua lunga carriera, Sal Da Vinci attraversa mondi diversi: dalla canzone classica napoletana al teatro musicale, dal cinema alla televisione, fino alla produzione discografica popolare. Album e spettacoli teatrali lo rendono una figura centrale della cultura musicale partenopea, capace di parlare a generazioni diverse senza perdere credibilità. La sua voce, impostata su una tecnica tradizionale, si distingue per un timbro caldo, una pronuncia netta e un uso controllato del vibrato, elementi che rendono ogni interpretazione immediatamente riconoscibile.
Negli ultimi anni, però, Sal Da Vinci ha intrapreso un percorso di rinnovamento consapevole, cercando di dialogare con il linguaggio pop contemporaneo senza rinnegare le proprie radici. Le sue pubblicazioni più recenti mostrano arrangiamenti più asciutti, strutture armoniche semplificate e una maggiore attenzione alla fruibilità radiofonica, mantenendo però intatto il nucleo emotivo della sua interpretazione. È una transizione delicata, che lo porta a spogliarsi di certi eccessi melodrammatici per lasciare spazio a una narrazione più diretta, quasi confidenziale.
Dal punto di vista tecnico, Sal Da Vinci resta un interprete puro, capace di sostenere melodie ampie senza forzature, con una gestione del fiato che testimonia anni di palcoscenico. La sua forza non è la sperimentazione ma la verità dell’emissione vocale, la capacità di rendere credibile ogni parola cantata.
Samurai Jay, tra scrittura urbana e tensione identitaria
Samurai Jay è una presenza ancora laterale per il grande pubblico eppure centrale per chi osserva con attenzione l’evoluzione dell’urban italiano più riflessivo.
La sua musica nasce dal rap, ma rifiuta la pura ostentazione stilistica per concentrarsi sulla parola e sul racconto interiore. Nei suoi lavori precedenti emerge una scrittura tesa, spesso scarnificata, che lavora su immagini rapide e su un senso costante di ricerca identitaria. Tecnicamente utilizza un flow irregolare, volutamente spezzato, che segue l’emotività più che la metrica tradizionale.
La sua cifra autoriale è certamente forte ma ancora prettamente sconosciuta al pubblico mainstream, nonostante tra i più giovani ottenga grande successo, superando il milione e mezzo di streaming mensili solo su Spotify. Il rischio rimane però quello di rimanere bloccati in un perimetro troppo introspettivo. Sanremo rappresenta anche per lui l’occasione giusta per aprire il suo linguaggio al mondo, senza perderne l’urgenza.
Malika Ayane: eleganza, controllo e poesia
Malika Ayane nasce a Milano nel 1984, in una famiglia con forti radici artistiche e culturali. La sua formazione musicale è rigorosa. Studia canto lirico fin da giovanissima e frequenta corsi di pianoforte, teoria musicale e tecnica vocale classica. Questo background le permette di sviluppare una padronanza vocale rara, che unisce controllo, precisione e un senso innato della frase musicale.
Debutta nel panorama italiano nel 2008 con l’album omonimo Malika Ayane, e si afferma rapidamente per la capacità di coniugare pop contemporaneo e sofisticazione melodica, creando un ponte tra musica commerciale e sperimentazione intellettuale. Nel corso degli anni pubblica album come Grovigli, Ricreazione e Domino, ciascuno caratterizzato da una scrittura attenta, arrangiamenti raffinati e l’uso della voce come strumento narrativo più che come semplice veicolo melodico. La sua cifra stilistica è riconoscibile: fraseggi eleganti, dinamiche calibrate e un timbro morbido ma incisivo.
Malika Ayane ha partecipato al Festival di Sanremo diverse volte. La sua prima apparizione risale al 2010 nella categoria Giovani con Come foglie, che le consente di farsi conoscere a livello nazionale. Ritorna poi nel 2013 tra i Big con il brano E se poi, consolidando la sua immagine di interprete sofisticata e di cantautrice capace di fondere tecnica e sensibilità emotiva. Ogni partecipazione ha rappresentato per lei un importante momento di crescita artistica, oltre che un’occasione per confrontarsi con il palco più importante della canzone italiana affinando la propria capacità di comunicare emozioni complesse al grande pubblico.
Luchè, tra introspezione e racconto metropolitano
Luchè, all’anagrafe Luca Imprudente, nasce a Napoli nel 1980 ed è una delle voci più autorevoli e riconoscibili del rap italiano contemporaneo. La sua carriera comincia negli anni 2000 con la formazione del gruppo Co’Sang, con cui sviluppa le prime esperienze di scrittura e di performance, prima di intraprendere una carriera solista che lo porta a diventare uno dei principali cantautori urban della scena nazionale. La sua cifra distintiva è la capacità di unire lirismo urbano e storytelling personale, con testi che raccontano la vita di strada, le ambizioni, le contraddizioni e le fragilità con autenticità e coerenza.
Nel corso degli anni Luchè ha pubblicato album che hanno segnato tappe fondamentali del rap italiano: L1 (2013), Malammore (2015), Potere (2017) e Dove volano le aquile (2021). I suoi lavori si caratterizzano per una produzione musicale solida, con beat hip hop profondi, ritmiche precise e arrangiamenti che spesso integrano elementi soul, R&B e melodici, creando un equilibrio tra atmosfera urbana e ascolto melodico più ampio. La scrittura rimane il fulcro: storie narrate in prima persona, con un linguaggio diretto, mai banale, che riesce a coniugare introspezione e tensione sociale.
Dal punto di vista tecnico, Luchè padroneggia il flow in maniera controllata, modulando intensità, velocità e pause per enfatizzare il senso di ogni verso. La sua vocalità è profonda e calda, con un timbro facilmente riconoscibile, capace di trasmettere tensione, malinconia e determinazione. È un interprete che privilegia il racconto alla decorazione vocale, rendendo la sua musica immediata e veritiera.
Quella di quest’anno sarà per lui la prima partecipazione al Festival di Sanremo. La sua presenza rappresenta un ponte tra la cultura rap e il grande pubblico della canzone italiana, un’occasione per dimostrare che il rap può dialogare con la tradizione e la scenografia del palco più prestigioso della musica italiana.Luchè arriva dunque a Sanremo 2026 come vero cantastorie urbano, capace di trasformare esperienze personali e collettive in canzoni che oscillano tra introspezione e racconto metropolitano. Un artista che porta sul palco una visione contemporanea del rap, con rigore tecnico, sensibilità emotiva e una forte identità culturale, pronto a confrontarsi con un contesto musicale più ampio senza rinunciare alla propria voce.
Raf: memoria pop e profondità melodica
Raf, all’anagrafe Raffaele Riefoli, nasce a Margherita di Savoia nel 1959 ed è uno dei cantautori più longevi e riconoscibili della musica italiana. La sua carriera attraversa quasi quattro decenni, dal pop melodico anni Ottanta fino a sonorità contemporanee più ricercate, sempre caratterizzate da una scrittura elegante e da un controllo tecnico impeccabile della voce. Raf, tra le voci italiane più importanti del panorama musicale, ha saputo coniugare nel corso della sua lungimirante carriera orecchiabilità e contenuto lirico, creando brani capaci di resistere al tempo come Self Control, Infinito e Dimentica solo per citarne alcuni.
Vocalmente, Raf possiede inoltre un timbro chiaro ed incisivo, versatile e immediatamente riconoscibile. La sua tecnica gli permette di affrontare ampie escursioni melodiche, passaggi dinamici delicati e fraseggi più intensi con naturalezza e precisione. Negli ultimi album, come Numeri e Il colore dei pensieri, Raf ha sperimentato arrangiamenti più sobri e lineari, lasciando spazio alla scrittura e alla capacità interpretativa piuttosto che all’ostentazione vocale.
Il suo legame consolidato con il Festival di Sanremo è inoltre cosa comune. Raf ha infatti debuttato già nel 1988 sul palco dell’Ariston come Big, con Cosa resterà degli anni ’80, prima di torna nel corso degli anni con brani come Ti pretendo e Il colore dei ricordi, ottenendo riconoscimenti per la qualità vocale e interpretativa.
Vero punto di riferimento nel panorama pop italiano, a Raf si augura una partecipazione al Festival stavolta più fortunata rispetto a quella del 2015, sua ultima volta a Sanremo come Big in gara. Edizione particolarmente difficile per l’artista che, colpito da una forte laringite e da una forte sindrome influenzale aveva dovuto esibirsi sul palco dell’Ariston con febbre alta e raucedine.
Bambole di Pezza: il punk come linguaggio politico e identità sonora
Le Bambole di Pezza nascono a Milano come progetto punk rock dichiaratamente identitario, femminile e militante, in un panorama musicale italiano che per anni ha relegato il rock più ruvido ai margini del mainstream. La band si afferma progressivamente come una delle realtà più riconoscibili del nuovo punk italiano, costruendo la propria credibilità soprattutto dal vivo, attraverso concerti ad alta intensità emotiva e una comunicazione diretta, senza filtri. La loro musica non nasce per compiacere ma per esistere. Dopotutto chi le ascolta lo sa; la loro musica è soprattutto urgenza, corpo e presa di posizione.
Il loro percorso discografico si sviluppa già a partire da diversi anni fa, tra EP e album che mettono al centro temi sociali e personali. Tra i più cantati l’identità di genere, l’autodeterminazione ma anche la rabbia generazionale, la fragilità emotiva e il rifiuto degli stereotipi.
I loro testi sono diretti, spesso taglienti, costruiti su un linguaggio semplice ma mai superficiale, che privilegia l’impatto emotivo alla metafora colta.
Anche dal punto di vista tecnico la band lavora su dinamiche aggressive ma controllate, con una sezione ritmica che sostiene l’urgenza dei brani e chitarre che privilegiano l’impatto rispetto alla complessità armonica. La vocalità è volutamente ruvida, spesso urlata o spinta, in linea con la tradizione punk, ma negli ultimi loro lavori è facile intravedere anche una maggiore attenzione alla modulazione e alla costruzione melodica, segno di una crescita che non rinnega l’istinto ma che al contrario lo incanala.
Per le Bambole di Pezza il Festival di Sanremo 2026 rappresenta la loro prima partecipazione in gara.
Ermal Meta: la parola come architettura emotiva
Ermal Meta nasce a Fier, in Albania, nel 1981 e si trasferisce in Italia da bambino, portando con sé una storia personale complessa, che diventerà una delle matrici più profonde della sua scrittura. Prima di affermarsi come cantautore solista vive un lungo apprendistato musicale come chitarrista e autore per altri artisti, maturando una conoscenza solida della forma-canzone e del lavoro artigianale sulla parola. Questo percorso, lento e stratificato, si riflette ancora oggi nella sua musica, che non cerca scorciatoie emotive ma costruisce senso per accumulo e precisione.
Il suo esordio solista arriva dopo anni di scrittura e fin da subito Ermal Meta si distingue per una poetica densa, spesso dolorosa, che affronta temi come l’identità, la memoria, il trauma e la resilienza. Album come Umano, Non abbiamo armi e Tribù urbana mostrano un autore attento alla struttura del testo, alla musicalità della lingua italiana e alla capacità di trasformare l’esperienza personale in racconto collettivo. La sua scrittura è narrativa, a volte quasi letteraria, sostenuta da melodie che non cercano l’effetto immediato ma la persistenza emotiva.
Dal punto di vista tecnico Ermal Meta possiede inoltre una vocalità espressiva più che virtuosistica. Il suo punto di forza non è l’estensione o la potenza ma bensì il controllo dell’intenzione. Ogni parola viene pronunciata con precisione ritmica e timbrica, spesso lavorando su un registro medio che favorisce l’intelligibilità del testo. Le sue melodie sono costruite per sostenere la narrazione, con progressioni armoniche funzionali e arrangiamenti che, soprattutto negli ultimi lavori, tendono a essere più asciutti e meno enfatici rispetto al passato.
Il legame di Ermal Meta con il Festival è profondo e significativo. Debutta nel 2016 tra le Nuove Proposte con Odio le favole, vincendo la categoria e attirando l’attenzione per la forza della scrittura. Torna tra i Big nel 2017 con Vietato morire, ottenendo un grande consenso critico e di pubblico. Nel 2018 vince il Festival in coppia con Fabrizio Moro con Non mi avete fatto niente, brano simbolo di una canzone civile capace di parlare a un pubblico ampio senza perdere incisività. Torna ancora in gara nel 2021 con Un milione di cose da dirti, confermando una presenza costante e mai casuale all’Ariston.
Così, anche stavolta è certo che Ermal Meta torni a Sanremo come un autore maturo, che non usa il palco per affermarsi ma per continuare un dialogo. E in un Festival sempre più attraversato da velocità e superficie, la sua presenza rappresenta ancora una volta un invito alla profondità.
Nayt e l’introspezione rap come forma di scrittura adulta
Nayt, nome d’arte di William Mezzanotte, nasce a Roma nel 1994 ed è una delle figure più significative della nuova generazione rap italiana che ha scelto l’introspezione come linguaggio principale. La sua carriera si sviluppa lontano dai riflettori televisivi, attraverso una crescita graduale e coerente che lo porta a costruire un pubblico solido, attento e fedele. Fin dagli esordi, Nayt si distingue per una scrittura che rifiuta l’estetica dell’eccesso e dell’autocelebrazione tipica di parte del rap mainstream, preferendo un racconto personale, vulnerabile, spesso scomodo.
La sua discografia, da Raptus a Mood, fino a Habitat e Lettera Q, mostra una progressiva maturazione sia sul piano lirico sia su quello musicale. Nayt lavora sulla parola come strumento di autoanalisi: i suoi testi affrontano il senso di inadeguatezza, la pressione sociale, il rapporto con il successo, l’identità maschile e il bisogno di silenzio in un mondo iperconnesso. La scrittura è diretta ma mai banale, costruita su immagini quotidiane che diventano simboliche proprio grazie alla loro semplicità.
Dal punto di vista tecnico, Nayt possiede un flow estremamente controllato, spesso minimale, che privilegia la chiarezza espressiva rispetto alla spettacolarizzazione. La sua voce resta quasi sempre in un registro medio, con poche variazioni melodiche, scelta che rafforza l’impressione di confessione intima. Le produzioni, soprattutto negli ultimi lavori, si muovono su beat puliti, essenziali, con un uso attento dello spazio sonoro: pochi elementi, ma collocati con precisione, a servizio del testo.
Fino ad oggi Nayt non ha mai partecipato al Festival di Sanremo, né tra le Nuove Proposte né tra i Big. La sua presenza a Sanremo 2026 rappresenta quindi un debutto assoluto, significativo per un artista che ha sempre costruito il proprio percorso al di fuori dei circuiti tradizionali della canzone italiana. Un incontro tra linguaggio rap introspettivo e palco istituzionale, con tutte le tensioni e le possibilità che questo comporta.
Elettra Lamborghini: l’istinto pop tra corpo, ritmo e consapevolezza
Elettra Lamborghini, classe 1994, nasce a Bologna in una famiglia il cui cognome è già mito industriale, ma il suo percorso artistico si costruisce lontano da quell’eredità, seguendo traiettorie pop, urban e latin che parlano di fisicità, ritmo e libertà espressiva. Dopo una prima esposizione mediatica televisiva, Elettra sceglie consapevolmente la musica come spazio di affermazione identitaria, trasformando un’immagine inizialmente percepita come provocatoria in un linguaggio pop riconoscibile e sempre più strutturato.
Il suo esordio discografico si colloca all’interno del pop latino urbano, con brani che fanno della ritmica il centro gravitazionale: beat reggaeton, influenze dancehall, linee di basso marcate e arrangiamenti pensati per il movimento del corpo prima ancora che per la riflessione. Album come Twerking Queen e Elettraton raccontano una precisa volontà estetica: rivendicare il piacere, la sensualità e l’autodeterminazione femminile attraverso un linguaggio pop esplicito ma mai casuale.
Dal punto di vista tecnico, Elettra Lamborghini non si affida al virtuosismo vocale tradizionale ma lavora su ritmo, timbro e presenza scenica. La voce viene utilizzata come elemento percussivo, spesso incastrata nei beat con precisione metrica, privilegiando la chiarezza ritmica rispetto alla complessità melodica. Negli ultimi lavori si percepisce una maggiore attenzione all’intonazione, alla gestione del fiato e alla costruzione di linee vocali più strutturate, segno di una crescita tecnica progressiva.
Elettra Lamborghini ha partecipato al Festival di Sanremo 2020 con il brano Musica (e il resto scompare), classificandosi al quarto posto e ottenendo un forte riscontro radiofonico e televisivo. Quella partecipazione ha segnato per lei un punto di svolta. Elettra è riuscita a portare sul palco dell’Ariston un’estetica pop internazionale, colorata e ritmica, dimostrando che il Festival può dialogare anche con linguaggi leggeri e contemporanei senza perdere centralità culturale.
Elettra Lamborghini torna a Sanremo come icona pop consapevole, capace di trasformare il corpo in linguaggio musicale e la leggerezza in affermazione culturale. La sua presenza rappresenta un pop che non chiede scusa, che abita il presente e che, proprio per questo, continua a interrogare i confini tra intrattenimento e identità artistica.
Michele Bravi: la fragilità come linguaggio espressivo
Michele Bravi nasce a Città di Castello nel 1994 e si impone all’attenzione del grande pubblico vincendo X Factor 7 nel 2013, a soli diciannove anni. Fin dal principio la sua figura artistica si distingue per una sensibilità spiccata, quasi vulnerabile, che diventerà nel tempo non solo una cifra emotiva ma un vero e proprio linguaggio espressivo. Bravi non ha mai cercato la solidità dell’immagine rassicurante: il suo percorso è fatto di pause, ripensamenti, silenzi e ritorni, elementi che hanno contribuito a rendere la sua musica profondamente umana.
La sua discografia riflette una ricerca continua di equilibrio tra pop melodico e introspezione cantautorale. Album come A passi piccoli, Anime di carta e La geografia del buio mostrano un artista che lavora sulla sottrazione, sulla delicatezza e sull’intensità emotiva più che sull’impatto immediato. I testi sono spesso diaristici, attraversati da temi come la perdita, la colpa, il dolore, ma anche la rinascita e la possibilità di ricostruzione. La scrittura tende a essere evocativa, con immagini semplici ma cariche di significato simbolico.
Dal punto di vista tecnico, Michele Bravi possiede una vocalità leggera e flessibile, con un uso frequente del falsetto e delle mezze voci. La sua forza non sta solo nella potenza ma soprattutto nel controllo dinamico e nella capacità di trasmettere intimità. Le melodie sono costruite per valorizzare l’espressione emotiva, spesso sostenute da arrangiamenti minimali, pianoforte e archi, che lasciano spazio al respiro e al silenzio, elementi fondamentali della sua estetica musicale.
Michele Bravi debutta al Festival di Sanremo 2017 tra i Big con Il diario degli errori, brano che ottiene un forte riscontro di pubblico e critica, classificandosi al quarto posto e diventando uno dei suoi pezzi più rappresentativi. Torna al Festival nel 2022 con Inverno dei fiori, canzone intima e dolorosa che segna il suo ritorno dopo un lungo periodo di assenza dalle scene, legato a vicende personali profonde. In entrambe le occasioni, la sua presenza all’Ariston si distingue per sobrietà e intensità emotiva.
Michele Bravi torna ora a Sanremo come custode della fragilità, artista che ha trasformato il dolore in forma, il silenzio in musica, la vulnerabilità in forza espressiva. La sua è una presenza che non alza la voce ma resta. E proprio per questo continua a lasciare un segno profondo nel racconto musicale italiano.
J-Ax: il rap che diventa cronaca popolare
J-Ax, nome d’arte di Alessandro Aleotti, nasce a Milano nel 1972 ed è una delle figure più influenti e divisive della storia della musica urban italiana. La sua carriera inizia nei primi anni Novanta come fondatore degli Articolo 31, gruppo che ha avuto il merito di traghettare il rap da linguaggio underground a fenomeno popolare, rendendolo comprensibile e accessibile a un pubblico vasto senza rinunciare alla critica sociale e all’ironia dissacrante. Con gli Articolo 31, J-Ax contribuisce a scrivere una pagina fondamentale della cultura musicale italiana.
Dopo lo scioglimento del duo, intraprende una carriera solista che accentua il suo ruolo di cantastorie urbano, capace di mescolare rap, pop e cantautorato. Album come Di sana pianta, Meglio prima?! e Il bello d’esser brutti raccontano un artista che ha fatto della narrazione autobiografica, dell’autoironia e della denuncia sociale il proprio marchio di fabbrica. J-Ax scrive di marginalità, dipendenze, ipocrisie sociali, disagio generazionale, ma anche di riscatto e autoaccettazione, usando un linguaggio diretto, colloquiale, spesso provocatorio.
Dal punto di vista tecnico, J-Ax non si distingue per virtuosismo vocale o complessità metrica estrema. Il suo rap è funzionale al racconto, costruito su flow chiari, intelligibili, che privilegiano la comprensione del testo. Negli anni ha saputo adattarsi alle evoluzioni del pop e dell’urban, collaborando con artisti di generazioni diverse e aggiornando le produzioni, pur mantenendo una struttura narrativa centrale e riconoscibile.
J-Ax ha partecipato al Festival di Sanremo 2018 in coppia con Fedez con il brano Italiana, portando sul palco dell’Ariston una performance energica e irriverente che ha diviso pubblico e critica. Quella partecipazione ha rappresentato uno dei momenti più esplicitamente pop-rap della storia recente del Festival, sottolineando la volontà di contaminare definitivamente linguaggi un tempo considerati incompatibili con la tradizione sanremese.
Torna ora al Festival come memoria vivente del rap italiano, dopo aver attraversato mode, critiche e trasformazioni senza mai smettere di raccontare il suo tempo. La sua presenza è quella di chi conosce il palco ma continua a usarlo come spazio di confronto, mettendo in gioco la propria storia personale e collettiva con lucidità e coraggio.
Enrico Nigiotti, il cantautorato della misura e dell’onestà
Enrico Nigiotti nasce a Livorno nel 1987 e costruisce il proprio percorso artistico lontano dai clamori, scegliendo la via della coerenza espressiva e di una scrittura che privilegia l’onestà emotiva rispetto all’effetto. A seguito della sua esperienza televisiva come allunno della scuola di Amici nel 2009, che decide consapevolmente di abbandonare ad un passo dalla vittoria finale, Nigiotti intraprende un cammino più lento e personale fatto di gavetta, concerti e canzoni scritte per necessità, non per urgenza di visibilità.
Il suo ritorno sotto i riflettori avviene nel 2018 con X Factor, esperienza che gli consente di presentare al grande pubblico una poetica già matura. Album come Enrico Nigiotti, Cenerentola e Notti fantastiche mostrano un cantautore legato alla tradizione italiana ma capace di dialogare con il pop contemporaneo senza snaturarsi. I suoi testi parlano di quotidianità, relazioni, perdita, provincia e tempo che passa, con uno sguardo disincantato ma mai cinico.
Dal punto di vista tecnico Nigiotti possiede una vocalità calda e leggermente ruvida, che lavora bene sul registro medio-basso. Non cerca virtuosismi né grandi aperture melodiche, ma punta sulla credibilità interpretativa e sulla chiarezza del fraseggio. Le sue canzoni sono spesso costruite su progressioni armoniche semplici, chitarra e pianoforte come strumenti portanti, con arrangiamenti che privilegiano la linearità e il respiro, lasciando spazio alla parola.
Quella del prossimo Festival corrisponderà alla sua terza volta in gara tra i Big di Sanremo. Enrico Nigiotti infatti partecipa al Festival di Sanremo 2019 con Nonno Hollywood, brano autobiografico e intimo che mette in luce la sua capacità narrativa e la sua misura interpretativa. Torna poi al Festival nel 2020 con Baciami adesso, confermando una presenza coerente e mai gridata all’interno della kermesse, lontana dalle logiche dell’eccesso ma riconoscibile per autenticità.
Torna in gara come artigiano della canzone. Ed è proprio in questa sua discrezione, in questo passo laterale rispetto al rumore, che risiede la sua forza più autentica.
Maria Antonietta & Colombre: l’intimità come gesto politico
Maria Antonietta, nome d’arte di Letizia Cesarini, nasce a Pesaro nel 1987 ed è una delle figure più raffinate e coerenti dell’indie cantautorale italiano. Il suo percorso artistico si sviluppa lontano dalle logiche del mainstream, attraverso una scrittura che mette al centro la fragilità, il corpo, l’identità e la complessità dell’esperienza femminile contemporanea. Fin dagli esordi, Maria Antonietta si distingue per una poetica apparentemente semplice ma profondamente stratificata, capace di trasformare il quotidiano in riflessione esistenziale.
Colombre invece, nome d’arte di Giovanni Imparato, nasce a Bologna nel 1988 ed è uno dei produttori e cantautori più raffinati della scena alternativa italiana. Il suo percorso si sviluppa tra elettronica, pop d’autore e sperimentazione, con una forte attenzione alla forma, al suono e allo spazio.
Dal punto di vista tecnico si distingue per un uso estremamente consapevole del suono: synth delicati, ritmiche minimali, armonie che si muovono lentamente, lasciando spazio al silenzio. La vocalità è misurata, quasi sussurrata, pensata come un ulteriore strato sonoro più che come elemento dominante. Per loro sarà la prima partecipazione al Festival di Sanremo.
Francesco Renga e la voce come strumento emotivo assoluto
Francesco Renga nasce a Udine nel 1968 ed è una delle voci più riconoscibili e potenti della musica italiana contemporanea. Il suo percorso artistico attraversa diverse stagioni musicali, partendo dall’esperienza con i Timoria, band simbolo del rock italiano degli anni Novanta, fino a una carriera solista che lo consacra come interprete capace di coniugare intensità emotiva e grande controllo tecnico. Con i Timoria, Renga impara il valore della scrittura collettiva e dell’urgenza espressiva; da solista, affina una dimensione più melodica e personale.
La carriera solista di Renga si sviluppa attraverso album che hanno segnato il pop italiano, come Tracce, Camere con vista, Orchestra e voce e Scriverò il tuo nome. La sua scrittura si muove tra introspezione, amore, fragilità e desiderio di riscatto, sostenuta da melodie ampie e arrangiamenti che spesso valorizzano la sua vocalità come vero centro narrativo del brano. Negli ultimi lavori si avverte una maggiore attenzione alla misura e all’essenzialità, segno di una maturità artistica che privilegia l’interpretazione alla spettacolarizzazione.
Dal punto di vista tecnico Renga possiede una voce estesa, potente e duttile, capace di affrontare con naturalezza passaggi complessi, salite melodiche e aperture liriche importanti. Il suo controllo del fiato e la gestione delle dinamiche gli permettono di passare da momenti di grande intensità a interpretazioni più intime, mantenendo sempre una forte credibilità emotiva. È una vocalità che non nasconde le imperfezioni, ma le trasforma in segno espressivo.
Il rapporto di Renga con il Festival è profondo e articolato. Vince Sanremo 2005 con Angelo, uno dei brani più iconici della storia recente del Festival. Torna più volte in gara, tra cui nel 2012 con La tua bellezza, nel 2014 con Vivendo adesso, brano che gli varrà la vittoria del del Premio della Critica, e nel 2019 in coppia con Nek con Mi farò trovare pronto. Ogni partecipazione conferma la sua capacità di adattarsi a epoche e linguaggi diversi, mantenendo intatta la propria identità vocale.
Mara Sattei, il pop emotivo tra scrittura e produzione
Mara Sattei, nome d’arte di Sara Mattei, nasce a Roma nel 1995 ed è una delle voci più riconoscibili del pop italiano recente, capace di muoversi con naturalezza tra cantautorato, urban e sensibilità elettronica. La sua formazione musicale avviene in un contesto familiare fortemente creativo ma la sua identità artistica si costruisce con autonomia, attraverso una ricerca personale che mette al centro l’emotività e la precisione del dettaglio sonoro.
Dopo un primo periodo sotto lo pseudonimo di Thasup’s sister project, Mara Sattei si afferma definitivamente con album come Universo e Casa, che mostrano una scrittura intimista, sospesa tra fragilità e determinazione. I suoi testi parlano di relazioni, crescita, smarrimento e desiderio di protezione, utilizzando un linguaggio semplice ma accurato, spesso sostenuto da immagini delicate e quotidiane. La sua musica riesce a comunicare senza eccessi, trovando forza nella misura.
Mara Sattei possiede inoltre una vocalità morbida, controllata, estremamente intonata, che lavora molto sulle sfumature e sulle dinamiche interne del fraseggio. Le melodie sono costruite con attenzione, spesso intrecciate a produzioni moderne che alternano elettronica leggera, pop e suggestioni urban. La voce non domina mai l’arrangiamento ma vi si inserisce come elemento organico, creando un equilibrio raro nel panorama pop contemporaneo.
Mara Sattei torna in gara al Festival di Sanremo 2026 a seguito della sua primissima partecipazione, avvenuta nel 2023 con Duemilaminuti, brano che ha messo in luce la sua capacità interpretativa e la sua eleganza emotiva confermandola come una delle artiste più credibili della nuova scena pop italiana.
LDA & AKA 7even: due percorsi generazionali a confronto
LDA, nome d’arte di Luca D’Alessio, nasce a Napoli nel 2003 ed è il figlio di Gigi D’Alessio, mentre AKA 7even, all’anagrafe Luca Marzano, nasce a Vico Equense nel 2000. Entrambi emergono dal talent Amici di Maria De Filippi, ma sviluppano nel tempo identità artistiche differenti, che trovano un punto d’incontro nel pop contemporaneo e nella scrittura generazionale. Il loro percorso racconta due modi diversi di abitare la stessa stagione musicale.
LDA costruisce la propria cifra su un pop melodico che guarda alla tradizione napoletana e alla canzone italiana classica, filtrata attraverso sonorità moderne. I suoi brani sono spesso centrati sul tema dell’amore, della vulnerabilità e del rapporto con le aspettative, con una scrittura lineare e diretta. AKA 7even, invece, lavora su un pop più ritmico e radiofonico, con influenze urban e una maggiore attenzione al groove e alla performance, privilegiando l’immediatezza comunicativa.
Dal punto di vista tecnico, LDA possiede una vocalità calda e naturale, che funziona bene su melodie ampie e strutture tradizionali, mentre AKA 7even si distingue per un approccio più ritmico e dinamico, con una voce che si adatta a produzioni moderne e incalzanti. Insieme, possono creare un equilibrio interessante tra introspezione e impatto, tra racconto emotivo e energia pop.
AKA 7even ha già partecipato al Festival di Sanremo nel 2022 con Perfetta così, portando sul palco una proposta pop fresca e generazionale. LDA, invece, non ha mai partecipato al Festival come Big. La loro presenza insieme a Sanremo 2026 rappresenta quindi un incontro tra esperienza sanremese e debutto, tra due percorsi che dialogano pur mantenendo differenze evidenti.
Dargen D’Amico, il rap colto tra ironia e introspezione
Dargen D’Amico, all’anagrafe Jacopo D’Amico, nasce a Milano nel 1980 e si impone come una delle figure più originali del rap italiano. Con una scrittura che unisce ironia, intellettualismo e introspezione, Dargen ha ridefinito la capacità del rap di raccontare la società e il sé senza rinunciare a complessità stilistica e ritmo. Album come D’Parte, Vivere aiuta a non morire e Musica senza musicisti mostrano un autore capace di contaminare linguaggi, con riferimenti letterari e cinematografici che arricchiscono le trame dei suoi testi.
Dargen D’Amico ha già partecipato in passato al Festival di Sanremo, nel 2022 con Dove si balla classificandosi al nono posto e nel 2024 con il brano in gara Onda alta, ottenendo un ottimo sesto posto e positivo riscontro dalla critica. Quella al Festival di Sanremo 2026 sarà la sua terza volta in gara.
Eddie Brock: il crossover tra pop e urban contemporaneo
Eddie Brock, nome d’arte di Antonio Colangelo, nasce a Napoli nel 1997 ed è uno dei talenti emergenti più promettenti dell’urban pop italiano. La sua proposta artistica combina influenze hip hop, trap e pop, con testi che raccontano esperienze personali e quotidiane, spesso filtrate da ironia e introspezione giovanile. Album e singoli come Infinity e Notte intera mostrano una scrittura che sa bilanciare immediatezza e dettagli emotivi, costruendo un suono moderno e radiofonico.
Per lui sarà la prima partecipazione al Festival di Sanremo, momento chiave per portare sul palco un linguaggio pop-urban fresco e giovanile.
Levante, la poetica del pop d’autore
Levante, nome d’arte di Claudia Lagona, nasce a Caltagirone nel 1987 ed è una delle cantautrici più originali del panorama italiano contemporaneo. La sua scrittura fonde pop, cantautorato e influenze indie, raccontando relazioni, identità femminile e la complessità dell’esistenza con ironia e intelligenza. Album come Manuale distruzione, Abbi cura di te e Magmamemoria mostrano una maturazione costante: testi poetici e immediati, melodie incisive e arrangiamenti raffinati.
Levante debutta per la prima volta tra i Big in gara al Festival di Sanremo nel 2020 con Tikibombom, brano energico e irriverente che conferma la sua capacità di portare il pop d’autore sul palco principale senza snaturarsi. Torna nel 2023 con Vivo, approcciandosi per la terza volta alla kermesse proprio in occasione del Festival di Sanremo 2026.
Patty Pravo, l’icona senza tempo
Patty Pravo, all’anagrafe Nicoletta Strambelli, nasce a Venere, Venezia, nel 1948 ed è una delle voci più leggendarie della grande storia della musica italiana. Con oltre cinquant’anni di carriera alle spalle, la sua storia attraversa il pop italiano dagli anni Sessanta fino ad oggi, con album iconici e una presenza scenica inimitabile. Brani come La bambola, Pazza idea e E dimmi che non vuoi morire hanno segnato e continuano a segnare intere generazioni, definendo Patty Pravo come un simbolo di sperimentazione, audacia e indipendenza artistica.
Ancora oggi Patty Pravo possiede una vocalità unica, capace di modulare emozione, forza e teatralità. Il suo fraseggio è sempre studiato con attenzione e la voce ha una qualità senza tempo, che le permette di interpretare qualsiasi repertorio, dal pop classico sino alla sperimentazione più contemporanea.
Numerose anche le sue partecipazioni al Festival, dieci in totale, con il primo debutto nel 1966 con Qui e là e la sua prima vittoria nel 1984 con Per una bambola. Ha segnato il Festival con performance memorabili in più decenni, confermando la sua capacità di rinnovarsi pur mantenendo una identità riconoscibile.
Scopri di più da Claudia Cabrini - Giornalista di Viaggi e Spettacolo
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