Questa mattina ripensavo a quanto mi è capitato, di veramente bello, in così poco, pochissimo tempo.
Da Novembre ad oggi, infatti, le novità sono state infinite e inaspettate, che quasi ho paura a raccontarlo perché quando accadono troppe cose belle tutte in una volta pensi forse che la fine della felicità possa arrivare presto, perché altrimenti non te lo spieghi e non è possibile, ti dici.
Perchè l’11 Novembre mi sono laureata e da lì le incertezze hanno deciso di riprendere ancora il sopravvento su di me. Non sapevo che fare ne tanto meno dove emigrare, quasi che solo lo scappare dall’Italia potesse rendermi felice. Non che io abbia cambiato idea per davvero, al momento. Solo ci sto riflettendo un po’ di più, con meno impulsività probabilmente. Perché io di pazienza proprio non ne ho, e chi mi conosce lo sa, che fatico a ragionar troppe volte di mente, agendo di cuore e nient’altro.
Certo il lavoro non è mai mancato. Ma le soddisfazioni e il rispetto e la gratificazione, quelle sì. Poi sono giovane, mi dicono. E molti giovani stanno messi molto peggio di me, mi ripetono. Però io non ero comunque più felice, e non respiravo più. Mi sentivo come soffocare, chiusa in una gabbia e costretta a seguire una vita che mi ero scelta sin da bambina ma che ultimamente mi stava solo facendo star male.
Allora sono partita, in tutti i sensi. Ho iniziato a ricercare lavoro all’estero, e l’ho trovato immediatamente. Anzi, di lavori ne ho trovati 3. Nord Africa, Germania oppure Paesi Bassi. Avevo e ancora ho solo l’imbarazzo della scelta, sul da farsi. E lì un primo spiraglio sì che mi si è aperto. E mi sono ricreduta, sulle mie potenzialità in primis e su quanto il mondo sia piccolo soprattutto. Ho imparato che nulla è impossibile e che non è vero che ogni situazione debba restar statica e così com’è per sempre.
La frase “Non sei un albero con radici fisse, cambia se non ti piace l’aria che respiri” l’ho sempre considerata molto banale. Ma ho scoperto, viaggiando, che non lo è affatto e che soprattutto mi rispecchia moltissimo. Certo le radici sono importanti. Ma io ero già pronta a mollare tutto e ad andarmene. Davo già per scontato che il lavoro della giornalista non l’avrei più voluto fare perché piangevo e mi disperavo e rincasavo ogni sera soltanto più triste e perplessa e ammaccata, piena di lividi non visibili ma dolorosi come ferite aperte dentro di me.
A Berlino ho conosciuto amici veri, di quelli che anche se passate soltanto poche settimane insieme sai che su di loro puoi contare sempre. E i fatti lo stanno dimostrando anche ora, nonostante alcuni di loro siano tornati a New York, oppure a Dallas, in Texas o ancora a San Paolo, in Brasile. Fra tutti ricordo la vita, pazzissima, di Megan. Quarantenne molto in gamba. Probabilmente una delle donne più mature che io abbia mai conosciuto, nonostante l’età prettamente giovane.
Si è laureata in Economia e Commercio e ha fondato un suo business personalissimo: un negozio tutto dedicato alla vendita di equipaggiamento per CowBoy del Far West. Non sto scherzando, ed è tutto vero. Mi ha fatto vedere le foto, e mi ha raccontato di come il suo piccolo lovely shop vendesse selle per cavalcare ricamate a mano e decorate minuziosamente, oppure speroni da far invidia anche al più vanitoso fra gli Sceriffi d’America. Cose così. “In Texas è tutto normale” racconta. “Là c’è moltissima gente che si veste ancora così, in modo più che country insomma. Anche io ho la passione per i cappelli in cuoio. Ne ho a bizzeffe” dice. La sua attività è avanzata negli anni e Megan in Texas è diventata famosa. Ha iniziato a guadagnare tanto e bene, a vendere i suoi prodotti online e in tutto il mondo. Ha aperto ventidue filiali negli Stati Uniti e tre in Inghilterra. Però non era felice. Così ha venduto l’attività, ha ceduto ogni cosa e ora viaggia per il mondo. Si fa chiamare gipsy, è vegana, pratica yoga e medita moltissimo. Ed è rimasta a Berlino insieme a me per più di 7 giorni, dopo esser passata per il Portogallo, la Spagna, l’Irlanda, la Francia e anche l’Italia. La Grecia, la Croazia, la Svezia, la Danimarca e la Polonia.
Ecco, questo è solo uno dei tanti incontri che ti fanno capire davvero la persona che sei. Ed ecco, questo è soltanto uno dei motivi per cui potrei dirvi che senza viaggi e zaini sfatti in continuazione io non sarei quella che sono.
Dopo Berlino sono ripartita, praticamente subito. 48 ore dopo ero in Marocco, 30 gradi e cielo limpidissimo. La mia prima volta – finalmente – fuori dai confini Europei, e i miei primi timbri sul Passaporto. Marrakech, per l’esattezza. Una città che più cerchi di immaginartela e meno ci riesci. Ci sono finita perché lì mi hanno offerto lavoro, lì a Marrakech. E allora mi sono detta che tentar non nuoce mai più di tanto, e che avrei dovuto volare fin là, fin nel Nord Africa più addentrato, per poter davvero capire cosa mi sarebbe eventualmente aspettato.
Sono atterrata a Marrakech con zero aspettative ma con gli occhi spalancati e pronti alla scoperta. E anche lì, anche in quel caso, ho trovato molto più di quanto avessi infinitamente potuto immaginare. Un popolo, quello Marocchino, capace di accoglierti e di ospitarti con una bontà d’animo inaudita. Un paese per certi versi arretrato ma proprio per questo affascinante, perché vicino ad una realtà tanto umana quanto primordiale, oserei. Cose che sì, è vero, bisogna prestar attenzione se sei un turista perché tutti cercheranno di spillarti più Euro possibili (un nostro Euro, infatti, vale quanto 10 monete delle loro. Una Pizza Margherita, ad esempio, costa 2 Euro al massimo. Un paio di scarpe firmate 10 euro e cose così) ma è anche vero che se invece ti presenti a loro come viaggiatore, come uno che arriva lì senza pregiudizi, e senza voglia di far turismo nudo e crudo ma bensì soltanto con l’idea capire come si vive, in Marocco, e come si sopravvive, con tutte le difficoltà di quel posto, ecco allora che la generosità dei Marocchini ti sorprenderà. E gli esempi che potrei fare al riguardo sono moltissimi. Da Simo che ci ha ospitati nel suo appartamento rischiando veramente tanto (in Marocco non puoi ospitare una donna in casa tua a meno che non presenti certificato di matrimonio dimostrando che questa sia tua moglie) fino al guardiano del Riad – nel quale non abbiamo mai soggiornato ma nel quale siamo capitati una notte per caso – che l’ultima sera ci ha pregato di dormire – gratuitamente – in una camera lì, di quelle prenotabili dalla clientela, (e i Riad in Marocco sono dei piccoli Hotel, con prezzi medio/alti. Una camera doppia può costare da un minimo di 50 euro a notte ad un massimo di 80) senza pretendere nulla in cambio nonostante noi gli avessimo ripetuto più volte che non c’era problema e che avendo l’aereo il mattino presto ci sarebbe bastato appoggiare la schiena ad un muro, sonnecchiando sul pavimento.
Lo stipendio medio di un Marocchino si aggira attorno ai 200 euro e proprio per questo farci dormire gratuitamente in una camera doppia per una notte intera ha significato tanto, per noi e per lui, che ha rinunciato ad una bella somma pur di vederci comodi e riposati.
E poi sono volata di nuovo in Italia, e in meno di tre giorni ho dovuto far i bagagli e ripartire, per Sanremo stavolta. Ero eccitata all’idea di vivermi questo 66esimo Festival della Canzone Italiana, e soprattutto mi piaceva l’idea di rivedere gli zii, e il mare.
Ma ammetto che fossi titubante, riguardo a tutto. E confusa, moltissimo. Ogni giorno mi chiedevo fino a poche ore fa se questo fosse davvero ciò che avrei voluto fare nella vita e per sempre. Perché io l’ho sempre sognato, di far la giornalista. Fin da quando ero all’asilo, e mentre la mia amica Rebecca giocava a fare la maestra io presentavo il telegiornale. Però ultimamente troppe cose non andavano, alcuni colleghi mi avevano delusa e l’ho già detto e non lo voglio ripetermi ulteriormente. Quindi, dicevo, sono partita e arrivata a Sanremo con la speranza e la preghiera che questa fosse la volta buona, che potesse accadermi qualcosa e che io potessi tornare a voler giocare di fare la giornalista di nuovo.
E già da Domenica scorsa, dal mio primo giorno di Festival, mi sono accorta che la magia stava ricominciando a circolare, a farmi eccitata e febbricitante, a non farmi dormire e a non farmi mangiare, e a non farmi sentir la stanchezza ‘ché l’unica cosa che volevo fare era esserci, vivermela, conoscere gente e scambiare opinioni sul Festival e sui suoi addetti ai lavori.
Perchè Sanremo è Sanremo, e questa non è una frase fatta. Sanremo è quella cosa che sogni da sempre, e che faresti di tutto pur di esserci, e rinunceresti a qualsiasi cosa pur di farti Accreditare lì. Sanremo è conoscere colleghi nuovi che in poco tempo diventano amici e famiglia, e che se anche non li rivedi per un anno intero poi comunque capisci 365 giorni dopo che nulla è mutato. Sanremo è dormire tre ore a notte, è scappare di nascosto pur di vedere quella persona, è andare a cena insieme e chissà dove perché sai che ne varrà comunque la pena. Sanremo sono fiori profumatissimi ovunque e in continuazione, Sanremo è avvicinare i Big in gara e capire che loro in primis sono più normali di te. Sanremo è salutare gli Uffici Stampa da lontano, che se la credono più loro che lo stesso Elton John. Sanremo è sperare in un Pass, o nella sorte magari, e in un biglietto che ti possa dire “Sei stato estratto e stasera entri all’Ariston a vederti il Festival live”. Sanremo è la RAI che tutti criticano ma che poi tutti apprezzano e amano tanto, anche se non lo dicono. Sanremo è litigare e poi – a volte – fare anche pace. Sanremo è vedere quel palco illuminato e capire che il tuo è il lavoro più bello del mondo. Sanremo è cantare a più non posso in Sala Stampa, e fare magari la parte di quella un po’ pazza ma dopotutto chissenefrega di cosa pensa la gente di te. Sanremo è tanto, è tutto questo e molto di più. Sanremo è la mia anima gemella che quest’anno ho riscoperto in Andrea Dispenza, ma anche in Chiara Dalla Tommasina e nella mia Marzia Forni come sempre.
Sanremo è quella cosa che se ci pensi ti viene da piangere di gioia, e dalla commozione, e ti viene da gridarlo al mondo che sì, sei fortunata per davvero. Ma l’anno scorso, ad esempio, non era stato così. Perché un anno fa non sapevo chi ero io, e stavo cercando di ritrovare me stessa in un mare ancora sconosciuto nel quale galleggiavo senza saper nuotare. Stavolta, invece, è cambiato tutto.
Perché sono cambiata io, che nella valigia ho ritrovato me stessa e non vedo l’ora di ripartire. Di fare i bagagli, di nuovo e presto (fra due giorni infatti mi aspetta una nuova avventura lavorativa tra Firenze e Pistoia) per capire quante sfaccettature di quella che sono, io debba ancora stupirmi di conoscere, scovare e soprattutto imparare a mostrare.
Da ieri, per altro, ho anche iniziato a scrivere per un nuovo Editore, per Vero e Vero TV. Un sogno che si realizza e i miei primi articoli per una testata di carta stampata importante. La mia voglia di cambiamento sembra stia venendo appagata, e nonostante io sappia benissimo che l’avventura è appena incominciata, e che ricomincia ogni giorno, non vedo l’ora di scoprire che ne sarà di questa mia vita che in questo momento non potrei descrivere in nessun altro modo se non questo: FELICE.