Stamattina scrivo di ieri. Sì, perché ieri sera la mia mamma mi ha scritto che le mancavo tanto, e ammetto che un po’ mi abbia quasi infastidita, quel suo messaggio. Perché la prima cosa che ti vien sempre e soltanto da rispondere è che “Dai, Mamma non sono morta né tanto meno in guerra” e allora ci ridi su, e forse un po’ la punzecchi, la tua mamma che ti ha dato la vita e ti ha cresciuta così come sei. Non so perché ma la mia mente ha poi preso a volare, e non nel modo ironico in cui in tanti me lo ricordano, sempre. Sono andata indietro nel tempo, ho sforzato la memoria, di qualche settimana o poco più, per ricordare, e rivivere emozioni e incontri che sempre di donne parlano, e sempre di mamme vogliono narrare.
Stavo rincasando da Roma, e uno dei miei progetti lavorativi mi aveva anche costretta ad una scelta forzata, ma non troppo scomoda: notte in pullman, viaggio super low-cost. Milano-Roma in poche ore – sei in totale quindi neanche malissimo – e di notte, all’imbattibile prezzo (invariato indipendentemente da quanto in anticipo tu decida di acquistare il biglietto) di 8 euro.
I posti a sedere non erano però prenotabili, perciò prima arrivi e più probabilità avrai di poter autonomamente sceglierti la poltroncina migliore. Magari quella vicino al finestrino perché ti piace sbirciar fuori e fantasticare su tutte quelle lucine lungo la strada, che scorrono veloci e si mescolano insieme, che un pochino mi rimandano sempre alle lucciole che in mezzo al buio della campagna rincorrevo da bambina. Oppure, magari meglio, seduta corridoio così puoi alzarti quando credi, e magari allungare un pochino anche le gambe in fuori senza farti troppi problemi.
Mi metto comoda e poi sale lei, e mi chiede se – per favore – può prender posto vicino a me ‘che il bus è ormai quasi tutto pieno. Profuma di sapone, quello compatto, come le saponette che sanno di buono, quelle per profumare e lavare benissimo al tempo stesso. Maglioncino, camicia, capelli riccissimi. È sposata, le intravedo una fede, e anche un orologio al polso. Non mi soffermo troppo sui dettagli, probabilmente perché sono stanca, e poi non ne ho nemmeno il tempo.
Iniziamo a chiacchierare del più e del meno, e di una vita intera. E ammetto con rammarico di essermi anche scordata il suo nome. Non avrei voluto. Mi domanda se anche io sto andando verso Milano.
“Sì” le rispondo, sorridente. “Ero a Roma per lavoro, e anche un po’ per svago. Ma da domattina subito in ufficio” spiego. “A chi lo dici”, mi risponde prontamente. E da lì in avanti, mi spiazza. E il cuore mi inizia a battere forte forte perché di fronte alla verità e alla commozione succede sempre così, almeno a me.
Non so se davvero dovrei scrivere quanto segue, dopotutto sono state confidenze personali ma, rifletto, anche fatte da una sconosciuta ad un’altrettanta sconosciuta come me che ampiamente le aveva raccontato la sua passione per il viaggio, e per la caccia alle storie, quelle che non puoi non condividere perché troppo belle per esser tenute egoisticamente soltanto dentro di te. Quindi, proseguo.
Lei è di Roma, è felicemente sposata ed ha un bambino di 8 anni. Ma ora vive a Milano, da sola, senza famiglia o amici al seguito. Ci sta tornando stanotte, a Milano, e domattina non avrà nemmeno il tempo per una veloce colazione al bar post-viaggio perché la sua unica preoccupazione dovrà esser quella di non perdere il primo treno di passaggio per arrivare in ufficio puntualissima. Vive a Milano da qualche mese, in una camera condivisa in un appartamento condiviso con altre signore, lontana dalla sua terra, il Lazio, e dalla sua città, la Roma Capitale che tanto ama. Si tratta di un trasferimento forzato, perché per lavoro si fa questo ed altro – quando hai sulle spalle anche un bimbo da crescere e un futuro da assicurargli, il più roseo e felice possibile, soprattutto – e allora ogni sacrificio pare superfluo. Perché le mamme sono così. Me lo ha insegnato la mia, me lo ha ricordato questa donna conosciuta sul pullman di ritorno da Roma.
Mi chiede consiglio su quale zona possa esser più adatta alle sue esigenze. Inizialmente non capisco, chiedo spiegazioni. Cerca una casa, sogna una villetta indipendente per trasferire tutta la sua famiglia al completo e per tornar finalmente a vivere insieme. All’inizio si accontenterebbe anche di poca cosa, ma poi spera in un giardino per far veder al suo bimbo anche un po’ di verde. “Speriamo di farcela”, dice. A tornar riuniti su Milano, intende. Sì, perché anche suo marito sta cercando lavoro lì ma non è affatto semplice. E poi, soprattutto, il suo bimbo sogna di giocare a calcio e vorrebbe farlo giocare e sognare ancora, anche qui, cioè lì, a Milano per l’appunto.
“Quello che davvero mi importa è che ci siano una buona scuola, un buon oratorio, e una squadra di calcio nelle vicinanze”, mi dice. “Così mio figlio non dovrà rinunciare a niente” prosegue.
Il viaggio continua, la stanchezza ci sovrasta ed entrambe ci addormentiamo, vicine. Mi risveglio un po’ più in là coi chilometri, ma Milano è ancora lontana. Il posto dall’altra parte del corridoio si è liberato, e così lo occupo io, abbandonando la mia ormai calda poltroncina per allargarmi ed aver un po’ più di spazio per me.
La guardo, lei, la mamma riccia che ora tranquillamente dorme con il suo cappotto a farle da cuscino. Sembra quasi sorrida, nel sonno. E so che non si dovrebbe fare, ma decido di scattarle una foto perché voglio immortalare questo incontro e decidere che non lo dimenticherò mai mai più.
Perché lei, che ogni weekend scende con un pullman sicuramente comodo per una ragazza di 20 anni come me, ma forse meno pratico per chi di anni ne ha un po’ di più – e con un dispendio di ore non da poco, e con anche l’aggiunta problematica complicanza di un Lunedì mattina che ti vede arrivar a Lampugnano alle 7:30 quando alle 8:00 dovrai già esser in ufficio a lavoro, puntuale e precisa, mi ha riempito il cuore.
L’accortezza di voler cercar casa a Milano per riunir la famiglia, e il desiderio di star vicino a chi ami ma a costo di vederlo felice, e allora il toto scommesse su quale sia la squadra di calcio migliore perché il tuo bimbo non deve rinunciar proprio a nulla, o per lo meno questo è ciò che speri per lui. I sacrifici di questa donna mi hanno commossa e lo dico con un filo di pacata timidezza.
Osservarla così, addormentata e sognante, ma in una posizione sicuramente poco comoda che l’indomani me l’ha fatta immaginare zeppa di dolori e magari pure con il torcicollo, è stato infinito. E l’idea che tutto questo lo faccia poi per amore, mi ha fatto veramente creder ancor di più nel fatto che sia il cuore ciò che davvero di più caro esista nell’universo intero.
E tutto per riabbracciare soltanto il tuo piccolo e l’uomo che ti ha sposata davanti a Dio. E tutto per riabbracciare soltanto il tuo piccolo e l’uomo che ti ha sposata davanti a Dio.
Lei, che rinuncia alla comodità e anche alla praticità di una vita, pur di rivedere la sua famiglia per un giorno e mezzo soltanto, e che lo fa ogni weekend, mi ha ricordato anche la mia, di mamma, e con lei tutte le mamme del mondo. E la loro tenerezza, e quell’amore incondizionato che a volte capisco si possa provare davvero, per un figlio, ma che forse in fondo in fondo non capirai mai finché non partorirai una creatura anche tu, che sembra incredibile ma poi ti ritrovi testimone di cose così e cose anche più grandi di questa e allora capisci che i miracoli esistono davvero.
Questi sono gli incontri dei quali non si dovrebbe mai far a meno di parlare. Queste sono le persone, sconosciute ma che ti capita di conoscere, che sfiorano la tua vita e che nel cuore ti lasciano un segno indelebile per tanto tanto tempo ancora.
Ti voglio tanto tanto bene, mamma.