Sono partita per La Maddalena cinque giorni fa e mai avrei immaginato tutto quello che ne è conseguito.
Ero eccitata ma come sempre non troppo preoccupata di quello che ne sarebbe stato. Perché chi mi conosce bene lo sa e forse forse, mie care anime gipsy, un pochino l’avrete ormai intuito anche voi: sono una che non pianifica troppo, che si gode le giornate e i momenti così, come vengono e per quel che sono.
Quindi, anche stavolta, mi sono lasciata andare, e sono volata in Sardegna per raccontarvi di una realtà che (purtroppo) non conoscevo. Dico “purtroppo” perché me ne sono innamorata immediatamente e mi spiace non averne saputo niente per 23 anni interi. Anche se, dopotutto, non è mai troppo tardi, vero?
Un’oretta di aereo da Milano. Atterro a Olbia e riparto in macchina, verso Palau, dove mi imbarco in traghetto. Scendo alla Maddalena. Risalgo in macchina, raggiungo il mio Hotel, poso le valigie e, finalmente, dopo gli ultimi 15 chilometri di strada, arrivo: Centro Velico Caprera, sull’isoletta di Caprera collegata a La Maddalena da un ponticello che attraversa il mare. Casa per i prossimi giorni.
Cos’è il Centro Velico Caprera?
Per me, è stato amore a prima vista. Me lo aveva preannunciato anche Sergio. Io ero appena arrivata. Mi trovavo al Centro da poco, eppure: “Non te ne vorrai più andare. Te lo leggo già in faccia” mi ha detto convinto. Ci conoscevamo da cinque minuti ma mi aveva già capita. Aveva ragione.
“In tanti hanno provato a spiegare come il CVC ti cambi la vita” mi ha raccontato Vincenzo, detto Polinesia, qualche sera fa. Lui è un istruttore del Centro, giovanissimo ma capace. Ha tenuto più di 120 corsi e Caprera la conosce molto bene. “Per quante cose belle sul CVC (abbreviazione del Centro Velico Caprera) ti possano raccontare, soltanto una volta arrivato qui inizierai a capire davvero cosa significhi esserci. E alla fine ti renderai conto di come quelle parole non siano riuscite a descrivere nemmeno l’1 per cento dell’esperienza che tu in prima persona avrai appena vissuto!”
Nonostante tutto, oggi, amici gipsy, un pochino di Caprera provo a spiegarvela anche io, partendo dal raccontarvi la sua storia.
Perché il Centro Velico Caprera è un luogo magico che tutti dovremmo conoscere, e che almeno una volta nella vita tutti dovremmo decidere di supportare.
LA STORIA DEL CVC – CENTRO VELICO CAPRERA
Dunque, cominciamo così. Questa è Caprera. Non male, vero?
Questa, invece, è la vista da una delle basi del Centro Velico di Caprera. E quello lì, piccolino, blu e rosso che vedete sul muro bianco, in foto, è il simbolo col quale il Centro Velico Caprera e tutti i suoi “Caprerini” (gli appassionati del CVC) si fanno riconoscere.
La storia del Centro Velico Caprera è veramente molto interessante.
Come vi ho scritto più volte sui miei Social, proprio quest’anno il CVC spegne 50 candeline, e anche per questo sono stata invitata in Sardegna: per raccontarvi la #CVCINQUANTA, ossia la Festa del Centro Velico, che nacque proprio nel 1967 grazie alla Lega Navale Italiana – Sezione di Milano e al Touring Club Italiano.
La Marina Militare concesse in uso al CVC l’insediamento di quella che allora era la loro base militare, e così ebbe inizio il Centro Velico a Caprera, nello spettacolare arcipelago della Maddalena.
Se oggi è necessaria almeno mezza giornata per raggiungere la Sardegna, pensate che cinquanta anni fa di giornate ne occorrevano almeno due!
Ma l’esperienza del CVC iniziava già lì. Dal trascorrere lento del tempo, durante il quale gli allievi e i velisti più esperti iniziavano a conoscersi e imparavano a vivere insieme, pronti ad avventurarsi nel mondo della barca a vela come una grande squadra, come una famiglia.
Anche la bellezza incontaminata dell’isoletta di Caprera (ebbene sì, proprio quella in cui approdò anche il mitico Giuseppe Garibaldi) con la forza dei suoi elementi, lascia il segno. Un ulteriore tassello che si aggiunge ai tanti “pezzettini di cuore” capaci di rendere l’esperienza individuale a Caprera assolutamente magica ed indimenticabile.
In cinquant’anni, il Centro Velico Caprera ha visto passare qualcosa come 120.000 persone, donne e uomini di ogni età. Anche in questi giorni di Festa ho potuto sperimentarlo in prima persona: erano presenti tantissimi giovani, ma anche tante persone di mezza età, tanti nonni coi figli e i nipoti e tutti (o quasi) già precedentemente “introdotti” al CVC.
Insomma, il Centro Velico di Caprera ha racchiuso e continua a racchiudere nei suoi luoghi almeno tre generazioni di appassionati velisti. Incredibile, vero? Veramente commovente!
Questa qui sotto è una delle prime foto scattate presso il Centro Velico. Riconoscete il simbolo che vi ho indicato anche in una delle due foto più su?
Ad oggi, doppiata la boa dei suoi primi 50 anni, il Centro Velico Caprera, è ancora l’unico insediamento umano di tutta l’isola, e anche grazie al suo approccio eco-sostenibile contribuisce a conservare Caprera un luogo straordinario nella sua originaria naturalità.
“Tutto è cambiato ma nulla è cambiato” – Ovviamente le imbarcazioni più tecnologiche hanno sostituito quelle in legno utilizzate cinquanta anni fa. Nel frattempo, al CVC è anche arrivata l’acqua corrente che prima non c’era, e con lei l’energia elettrica, che sicuramente ha reso anche la vita al campo più confortevole. Ma nonostante la modernità abbia preso il sopravvento quasi ovunque nel mondo, è giusto sottolineare come la cosa non sia assolutamente accaduta a Caprera, dove ancora si sconsiglia l’utilizzo del cellulare agli allievi, dove non esiste la tv, dove dall’inizio alla fine sei soltanto tu, i tuoi compagni, il vento e il mare.
Si dorme in sacco a pelo, in bungalow o camerate da 6, 12 o anche 40 persone. I bagni sono in comune, la colazione, il pranzo e la cena vengono servite dai compagni. C’è la “comandata”: a gruppi, in giorni alterni, si svolgono i compiti del servizio.
Si pulisce anche il mare, si raccoglie la sporcizia dalle spiagge, e ovviamente si impara ad andare in barca a vela.
“Si è equipaggio per terra, ancor prima che per mare” – Un’altra cosa capace di commuovermi al Centro Velico Caprera, è stata vivere in prima persona l’idea di equipaggio. Il mio primo giorno a Caprera mi sono ostinatamente voluta imbarcare anche io, su di un cabinato, una barca a vela che non scuffia (non si rovescia, non si capovolge) ma che è sicuramente molto impegnativa da manovrare.
Premessa d’obbligo: non avevo mai visto una barca a vela da vicino. Non vi ero mai salita a bordo. Non immaginavo nemmeno lontanamente cosa significasse “cabinato” ne tanto meno sapevo che la barca a vela non è uno sport nel quale puoi permetterti “””sfaticanza”””” o disattenzione.
Il mio equipaggio era fatto di persone esperte, che con passione, comprensione e tanto amore mi hanno spiegato quel giorno il perché del tirar quella piuttosto che quell’altra cima. Mi hanno fatto virare (ossia far ruotare la nave intorno al suo asse verticale facendo passare la prua nella nuova direzione del vento, solitamente opposta alla precedente), mi hanno fatto tenere il timone per qualche minuto, e soprattutto hanno fatto la cosa più importante di tutte: mi hanno sempre e soltanto parlato in gergo navale, che io ovviamente non conoscevo ma che sto imparando pian piano e del quale mi sono appassionata subito. Ora so che la cosa più importante di tutte, ad esempio, è sempre ORZARE! (Sto scherzando! Ma comunque, orzare significa ruotare volontariamente l’asse longitudinale dell’imbarcazione (da poppa a prua) avvicinando la prua alla direzione da cui spira il vento. Il contrario di orzare invece è poggiare.) Insomma, il mio equipaggio mi ha veramente commossa.
Mi hanno fatta sentire parte integrante dell’equipaggio nonostante io non ne sapessi nulla. Perché a Caprera succede anche così: ti imbarchi, ma non per forza con chi decidi o conosci tu. “La semplice ma straordinaria esperienza dell’essere equipaggio a terra prima ancora che per mare”.

Queste imbarcazioni in foto si chiamano derive. Sono molto più piccole del cabinato (la barca sulla quale sono salita a bordo io) e talvolta scuffiano (si rovesciano). Tecnicamente, sarebbe preferibile cominciare ad imparare ad andare in deriva e, solo successivamente, passare alla guida del cabinato.
L’immensa flotta del Centro Velico Caprera, ad oggi, è composta da oltre 100 imbarcazioni. 2.000 istruttori volontari. 120.000 allievi. Tutti contagiati da un unico virus che, ve lo giuro, PER FORTUNA ha infettato anche me: la passione per il mare e per la vela.
Il Centro Velico Caprera è attivissimo anche a tutela del nostro ecosistema. In collaborazione con l’Università di Siena, sotto l’egida dell’ONU, ha infatti messo a disposizione la propria flotta per programmi di monitoraggio e campionamento delle acque per i progetti Plastic Busters e Sails & Swipe.
Inoltre, anche tanta solidarietà al CVC che si fa promotore della solidarietà e sostenibilità sociale ospitando l’iniziativa “Di vele in meglio” (che ha l’obiettivo di migliorare il benessere pisco-emotivo delle persone affette da patologie oncologiche grazie a un’esperienza marinara totalizzante) e supportando attività e manifestazioni veliche organizzate da Acque Libere, Associazione presieduta da Antonello Tovo – istruttore del CVC – che si propone di abbattere ogni barriera e rendere i mari dell’arcipelago di La Maddalena accessibili a tutti oltre che con una forte progettualità rivolta alle persone affette da Sclerosi Multipla.
Questa, amici gipsy, è in breve la grandissima e lungimirante storia del CVC – Centro Velico Caprera.
Mi sono sempre definita una gipsy, ma da oggi – quasi quasi – vorrei aggiungerci un nomignolo in più: una gipsy sailor, oppure perché no, una gipsy pirata. Oppure, ancora, una GIPSY CAPRERINA. Perché al CVC, ve lo assicuro, ci tornerò per davvero.
Molto molto prima di quanto possiate immaginare…
Maggiori informazioni sul Centro Velico Caprera potete trovarle anche qui: http://www.centrovelicocaprera.it – oppure, mandando una mail a info@centrovelicocaprera.it
Buon vento a tutti!