TEL AVIV – Pensieri in libertà – Pagina 1

Detto, fatto.

Ieri vi avevo promesso che non appena i miei malanni si fossero calmati sarei tornata online. La Wonder Woman che c’è in me ha finalmente smesso di scioperare. Niente febbre, debolezza passata. E allora, eccomi qua.

Un mese esatto dall’ultima volta che ho postato qualcosa sul Blog ma, sinceramente, me ne spiaccio soltanto a metà. (Lo so, abbastanza brutale da ammettere, ma d’altronde io sono sempre stata così con voi: irrimediabilmente sincera.)

Sì, perché la mia metà più sensibile difatti se n’è un po’ risentita. Di conseguenza, quella mia metà “Rottermeier”, quella mia metà super precisa e attenta al dettaglio, si scusa e di buon cuore con voi tutti per esser stata così assente sul sito. Mi spiace non avervi potuti aggiornare quotidianamente a proposito delle mie avventure gipsy in giro per il mondo, o a proposito delle mille-mila pazze idee che proprio in questo mese mi sono balzate per la testa oppure, ancora, mi spiace non avervi presentato giorno per giorno le tante belle persone e le belle vite incontrate e scontrate in questi ultimi 30 giorni di viaggio.

L’altra metà di me però, quella più gipsy, avventuriera, libera, quella incapace di star troppo alle regole, di darsi degli orari, di rispettare i tempi, di arrivare in anticipo e di vivere in equilibrio – tuttavia – è veramente felice di come se la sia spassata nelle ultime quattro settimane.

Non vi ho infatti tenuti costantemente aggiornati sul blog, ma l’ho fatto sui Social. Proprio per questo sono certa molti di voi già sappiano quanto io abbia viaggiato, non solo fisicamente ma soprattutto con mente e cuore, ultimamente.

Giugno è stato proprio un mese speciale. Frenetico, impegnativo – anche dal punto di vista emotivo, che infatti non è stato facile – ma veramente veramente bello.
Ho viaggiato no-stop da nord a sud, da Israele all’Europa, e poi all’Italia, alla Puglia, al Salento prima di rientrare ancora su Milano.

Due viaggi così, uno dopo l’altro con tanto di notte passata in aeroporto compresa, ma anche due viaggi che nonostante la frenesia dell’organizzazione e della preparazione bagagli che ne è conseguita, ecco, mi sono piaciuti davvero tanto.

Sono partita per Israele senza letteralmente immaginare cosa mi aspettasse. Anche stavolta non mi ero studiata il programma di viaggio. Me lo avevano spedito a qualche giorno dalla partenza, ma ho preferito dargli soltanto una letta veloce, giusto per capire quanti costumi  da bagno portare o cose così.

Scherzi a parte, sono arrivata in Israele pronta a tutto. Perché questo si pensa – erroneamente – di Israele: che per visitarlo si debba essere pronti al rischio, all’inaspettato. Pronti a tutto.

E invece. Sono rimasta colpita da un paese assolutamente ospitale, crocevia tra Europa e Stati Uniti d’America e proprio per questo, sotto certi punti di vista, tanto libero e internazionale.

Su Israele si potrebbe scrivere per mesi. Dalla cultura, alla religione, agli usi e costumi del paese, alla cucina tipica e speziata. Per non parlare poi della storia, che ovviamente è parte fondamentale di tutto ciò che Israele era, è ed è diventato.

Oggi, però, vorrei soltanto raccontarvi di me. Certo, sì, di Israele, ma soprattutto di me. Del diario di bordo che non ho potuto caricare online in quei giorni e che quindi cerco di sintetizzarvi ora, in questo momento, in questo preciso instante, in questo post.

Un piccolo pezzettino del mio diario di bordo israeliano. Pagina 1.

Ho iniziato a scrivere sin dal primo giorno. In aereo. Perché, talvolta, accade: ti senti ispirata. E se a molti l’aereo concilia il sonno, a me invece ha sempre fatto un effetto diverso. Mi ha sempre conciliato la felicità, l’adrenalina, e la creatività. Questi tre ingredienti, mischiati alla giusta dose di follia, mi aiutano ogni volta a scrivere per ore come fossero pochi minuti. A confidare ad un’agenda tutto ciò che in quel momento mi passa per la testa, di modo che poi possa raccontarlo anche a voi.

Il fatto che Israele mi abbia conciliato la voglia di scrivere, e sin dall’inizio, non ha potuto far altro che vedermi atterrare ancor più felice di quanto fossi in partenza. Da Milano sono volata a Tel Aviv. A Tel Aviv, poi, la sfida: trovare il mio autista personale.

Perché sì, non siamo stati accompagnati, il primo giorno, da alcuna guida. Quindi io, l’aeroporto, le indicazioni scritte in ebraico ma anche in inglese, e la sfida di trovare il mio autista nel marasma di gente che in quel momento mi trovavo attorno.

Mi sono sentita immediatamente a casa. E per “a casa”, intendo stavolta “tornata alle origini”. Chi mi segue sin dagli inizi sa benissimo che per me esistono pochi modi di viaggiare se non uno: da soli. Con uno zaino in spalla, qualche soldo in tasca e nient’altro.

Da quando tuttavia ho iniziato a viaggiare anche per lavoro, e non solo più per me, sono sempre accompagnata da autisti, guide personali, e chi più ne ha più ne metta. Mi seguono tutto il giorno, e seguono me e me soltanto. Non sono mai “davvero” da sola, a meno che non scappi su qualche spiaggia a guardarmi il mare e sì, ammetto di averlo anche fatto più volte nei miei business travel degli ultimi mesi, ribelle.

Per questo arrivare in un aeroporto enorme come quello di Tel Aviv e sapere di aver almeno 30 minuti di libertà mi ha regalato un enorme piacere. Senza troppa fatica, ho conosciuto Giosuè. Un uomo brizzolato, sulla sessantina. Fa l’autista da tanti anni, o per lo meno così mi ha raccontato.

Mi ricordava quei nonni di piccole pesti dei film americani. Era simpaticissimo e, soprattutto, parlava un inglese perfetto. Primo segnale. Perché, diciamocelo, di solito nei paesi del Medio Oriente – Israele lo è geograficamente a tutti gli effetti – anche l’inglese lascia a desiderare, purtroppo. Spesso si parlano più volentieri altre lingue, talvolta il francese, ma l’inglese non è esattamente un punto forte.

In Israele, ovviamente, non è così. Tutti (beh, per lo meno “quasi” tutti!) l’inglese lo parlano benissimo. E ovviamente anche per chi voglia visitar il paese da backpacker come avrei fatto in altro caso io, questa è un’ottima notizia, da tenere sicuramente in considerazione.

Altra cosa della quale ci si accorge immediatamente? Israele è un paese sicuro. Lo è Tel Aviv, dove sono atterrata all’inizio del mio viaggio, ma lo è anche Gerusalemme, dove sono finita qualche giorno dopo. I controlli all’ingresso sono molto molto severi.

Vi scriverò più dettagliatamente di cosa significhi essere sottoposti ad un interrogatorio in aeroporto dalle autorità israeliane prossimamente, ma al momento vi basti sapere che  per i cattivi di cuore non c’è scampo. Alcuno.

Se avete anche soltanto l’1 per cento di cattive volontà, in Israele non ci entrate. Non sto scherzando. Dico sul serio. Alle autorità israeliane non sfuggite, e ve lo dice una che è stata etichettata (non ne ho ancora capito il motivo ma alla fine la cosa mi ha divertita parecchio) come “SOSPETTATA” sin dalla partenza in Italia.

Mi hanno rilasciato un visto differente da quello di tutti gli altri operatori in viaggio con me. La mia valigia e il mio bagaglio a mano sono stati aperti ed ispezionati anche appena prima di salire in aereo, sono stata l’ultima passeggera a salire a bordo e sono quasi sicuramente stata controllata per tutta la durata del mio viaggio a Israele. Insomma, non vi lasceranno liberi di far danni, ecco. Quindi, Israele, per quel che mi riguarda, l’ho considerato immediatamente un paese sicuro.

Tel Aviv, poi, è incredibile. Una città magica capace veramente di lasciarti senza parole. Ti toglie il fiato, con i suoi grattacieli capaci di ricordarti l’America, e il sole e le spiagge dorate che negli specchi di questi palazzoni riflettono i loro colori. Secondo segnale.

Anche la più piccola e apparentemente insignificante viuzza, a Tel Aviv significa qualcosa. Non c’è un centimetro di asfalto che non abbia una storia da raccontare. Non c’è un negozio capace di lasciarti indifferente.

E poi, i profumi! I profumi di Tel Aviv, dei suoi mercati, delle sue strade. Unici ed indimenticabili. Speziati, colorati, avvincenti. Rari. Terzo segnale.

Tel Aviv è a tutti gli  effetti una città molto giovane. Fatta dai giovani, per i giovani ma non solo. Inoltre è cosmopolita. Tel Aviv è affascinante ma è anche frizzante.

I “tre segnali” di cui sopra raccontano benissimo ciò che soprattutto vorrei capiste con questo “post dal cuore” di oggi.

Raccontano, infatti, che Israele è Medio Oriente, sì, ma in parte soltanto.

Israele, infatti, è un paese sviluppato, moderno, ricchissimo, molto più di noi per certi aspetti, e molto più all’avanguardia di gran parte dell’Europa stessa per altri.

Una terra assolutamente da scoprire, capace di catturarti a tal punto da non volertene più andare.

Un posto sicuro nel quale non temere assolutamente di atterrare.

 

Un piccolo pezzettino del mio diario di bordo israeliano. Pagina 1.
[to be continued soon]

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